Foto Testa Gran Etret Sperone Sud
Dal racconto dell'OgreDoctor
Gran Etret, sperone sud, via Bricco Gandolfo dal nome degli apritori, il terreno di gioco, il certamen dei nostri due orchi, OrcoCamola e OgreDoctor.
Il risveglio è fissato alle 3.30 del mattino di sabato. Partenza alle 4.00 da Rivoli. Quasi in trance raggiungiamo l’area parcheggio nei pressi dei laghetti Losere.
A 2461 metri l’area è frizzante e in un attimo passiamo dall’afa della pianura ai 5 gradi della montagna.
Tutto intorno la montagna si sta risvegliando e i primi raggi del sole del mattino cominciano a pennellare le creste dei picchi, quasi ad invitarci a cominciare il cammino.
Corde, frieds, nuts, moschettoni, imbrago, cordini, viveri e vestiario per affrontare le evenienze in alta quota. Un rapido sguardo al materiale, preparato accuratamente la sera prima e siamo pronti.
Pigramente ci mettiamo in movimento, cercando di risvegliare le membra ancora assopite e poco
desiderose di portare a spasso il carico dei nostri enormi zaini.
L’antica strada di caccia, lastricata da mani sapienti per un re, ci conduce con piccole discese e dolci risalite fino al sabbioso al Colle della Terra dove si spalanca la vista dello splendido laghetto glaciale di Lillet.
Davanti a noi intravediamo la meta ancora lontana: il colle della Porta e sulla sinistra lo sperone roccioso del Gran Etret. Non siamo soli in questo sconfinato anfiteatro alpino. Altri quattro alpinisti hanno scelto la stessa meta.
Curiosamente quella che, fino a qualche tempo fa, era una vetta dimenticata e poco frequentata, dopo
l’intervento di restyling di due guide piemontesi che hanno posizionato delle nuove soste, attrezzate anche per le calate, rischia di diventare una grande classica.
Dopo 2.40 di cammino a passo svelto e un dislivello contenuto (circa 800 metri) arriviamo a destinazione.
Dal colle della Porta ammiriamo lo sperone roccioso che minaccioso ci si para davanti. Siamo a 3002 metri di quota e ci aspettano 200 metri di arrampicata per arrivare a poggiare i nostri piedi sulla piatta cima posta a 3201 metri.
Visto da lontano il Gran Etret appare tetro e impervio e a stento si riesce ad immaginare una via di salita fra quei grandi e compatti blocchi di granito.
Aggirato lo sperone sulla destra, troviamo l’attacco e intravediamo la prima sosta e l’azzurro del cordino nuovo di zecca che unisce i due spit.
Tocca a me partire. Inizio titubante, non c’è l’ombra di un chiodo sull’intera lunghezza, ma d’altra parte che cosa li abbiamo portati a fare i friends e i nuts!
Arrivo ad una sosta, su chiodi vecchi e arrugginiti con un cordone logoro e dal basso OrcoCamola mi urla “non è quella la sosta, è quella più su”.
Il tiro è continuo, bellissimo, dopo la sosta vecchia, ci metto un attimo a realizzare che ho ancora una
ventina di metri e che devo arrivare ad un vecchio chiodo decisamente più in su. Mentalmente ripasso i passaggi da fare per arrivarci e poi via: un passo a destra e sono su una placca verticale, mi proteggo con un friend su una fessura, rinvio al vecchio chiodo e finalmente sono in sosta.
Il grido “molla tutto” è liberatorio. Il primo tiro è fatto, abbiamo rotto il ghiaccio. Recupero il socio e ci diamo il cambio. Ora tocca a OrcoCamola patire su queste rocce.
Le prime 4 lunghezze sono bellissime, la roccia è solida e fra Dulfer, fessure e passi atletici, arriviamo alla parte centrale, meno difficile, su cui si potrebbe procedere in conserva. Ma la sicurezza non è mai abbastanza e continuiamo a proteggerci fino alla partenza degli ultimi due tiri.
La lunghezza che ci separa dalla vetta consentirebbe di uscire con un unico tiro di corda, ma preferiamo seguire alla lettera la relazione.
Piccolo traverso su una cengia, abbracciamo forte un masso, come a volerlo stritolare, un passo atletico in spaccata a destra per trovare l’unico appoggio per i piedi e siamo dentro il camino di uscita. Leggendo sulla relazione pensavamo fosse un camino da fare in opposizione, ma con gradita sorpresa superata una lama all’ingresso, lo percorriamo facilmente e siamo finalmente in cima al Gran Etret, da dove si gode un bellissimo panorama che spazia fino al Monte Bianco e il Dente del Gigante e giù in basso al vallone di Pont Valsavaranche.
Insieme agli altri due scalatori con cui ci siamo alternati sulla via, attrezziamo le doppie per le calate e in men che non si dica siamo all’attacco e rifocillati e reidratati ripartiamo per il ritorno.
Ancora due orette di sofferenza e siamo alla macchina. Anche volendo, il carico e il lungo trasferimento a dispetto del poco dislivello (alla fine saranno circa 22 i km percorsi) non consentono di accorciare, più di tanto, i tempi di percorrenza.
Sul viso di entrambi è dipinta la stanchezza, ma anche l’estrema soddisfazione per una bellissima impresa. La levataccia e la fatica è stata ripagata da una bellissima giornata, dove tutto ha funzionato alla perfezione.
Una sosta al Rifugio Mila per un panino e una birra e siamo a casa.
Non ho nemmeno la forza di smontare lo zaino e sistemare le cose. Anche le foto possono aspettare.
Sono le 21.00 e sono in piedi dalla 3.30: vado a dormire stremato.
Mentalmente ripercorro le tappe di questa fantastica alpinata, dove ci sono stati tutti gli ingredienti per renderla indimenticabile: un posto fantastico, un meteo strepitoso, una via impegnativa ma adeguata alle nostre capacità e un amalgama fra i componenti della cordata perfetto.
Dentro di me penso: finalmente, sono tornato alle mie montagne.
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