venerdì 1 gennaio 2021
lunedì 21 dicembre 2020
Trofeo Orco dell'anno 2020 WebInAir 18 Dicembre 2020
Svoltasi il 18 Dicembre 2020 con meeting online il Direttivo quest'anno ha premiato:
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1 posizione: OrcoPinoR
Bici Mtb strada Susa Susa Colli: Moncenisio-Telegraphe-Galibier Lautaret-Monginevro ( Italia-Francia) 20 luglio 2020
2 posizione: OrcoBee
Mini Trekking del Sorapiss per le vie ferrate Bandelli e Berti ( Bl)- 29 luglio-2 agosto 2020
5 posizione: OrcoSherpaMazinga
Raid Night up hill Rocciamelone 3538 slm-Susa (To) 5 settembre 2020
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link foto 2020
1. OrcoRolfy- Serre Che Trail Salomon 60 km , alba al Col du Chardonnet(Francia)
2. OrcoSelena - Descrivimi la libertà
3. OrcoFabri - RIFLESSO DEL ROCCIAMELONE
4.OrcoGreg - C'è sempre luce dietro le nuvole" (Louisa May Alcott)
5.OrcoVigna II
lunedì 7 dicembre 2020
IL PUNTO DI RITROVO - Dicembre 2020
Dal racconto dell'OrcoSelena
Mi ci vuole sempre almeno un’ora per risvegliarmi del tutto, quando mi alzo presto. Però la domenica la città dorme e quando guardo l’alba dalla finestra mi godo l’esclusiva come se fosse un’anteprima a La Scala.
Appoggio delicatamente la tazza sul tavolo, nonostante la stizza per la bruciatura. Devo arrivare al punto di ritrovo entro le sei, ma mi soffermo ancora un po' a respirare il caffè come se quel tempo mi fosse dovuto.
Poi metto le scarpe da corsa e mi alzo lo scaldacollo sopra il naso, ci respiro dentro.
Prendo la giacca antivento e lo sguardo mi si posa sulla scritta sul dorso: “Marathon des Alpes Maritimes 2011”.
-Ti ricordi la nostra prima maratona? Partenza alle 7:00 di mattina, era novembre.
-È sempre la prima domenica di novembre, come la maratona di New York. Una volta o l’altra dovremmo saltarla, se vogliamo andare a quella di New York. Perché dobbiamo andarci. Vuoi ancora farla?
Guardo mio padre mentre beve il caffè in un unico sorso, mentre io non ho ancora nemmeno cominciato. Avvolgo entrambe le mani sulla mia tazza calda per dargli l’impressione che mi stia affrettando anch’io.
-Ci siamo alzati alle 5:00 e il bar dell’hotel era ancora chiuso, per cui siamo andati in quella caffetteria, ti ricordi quanto era stretta? C’era il bancone di metallo un po' ammaccato, poi giusto lo spazio per una fila di persone in piedi e poi subito la vetrata. I francesi fanno tutto stretto.
-Però fanno bene il Pain au chocolat. Lo abbiamo mangiato come se la gara dipendesse da quei carboidrati. Non ne sapevamo ancora un bel niente di corsa. E poi ti ricordi che per poco non ci siamo quasi…
All’improvviso qualcuno alza il volume della musica e le sue parole si disperdono nell’ambiente. Lui lancia uno sguardo di rimprovero al barista e poi guarda me scuotendo visibilmente la testa. Subito io sorseggio un po' di latte, guardandolo da dietro la tazza come se ci fossi di mezzo anch’io. Poi rido e lo fa anche lui. Provo a dire qualcosa ma c’è troppo rumore.
Quella mattina di novembre ci aggiravamo tra le griglie di partenza, suddivise a settori per tempo di gara previsto.
Le vie erano piene solo di runner oppure di famigliari venuti a sostenere un papà o una sorella.
Io e mio padre eravamo lì entrambi per correre e così ci sostenevamo a modo nostro.
Faceva freddo e mancava ancora mezz’ora alla partenza. Inesperti, decidemmo di non entrare nelle griglie e di muoverci ancora un po’ per scaldarci. All’ultimo ci venne persino in mente di fare un salto al bagno.
Ci demmo appuntamento a un inequivocabile lampione della Promenades des Anglais, quello accanto all’ingresso del Beau Rivage.
Lo ricordo bene, con il suo arco in ferro battuto e le lettere azzurre come la rinomata Costa.
Non ricordo invece con esattezza il momento in cui ci dividemmo, io diretta verso i bagni chimici delle donne, lui altrove.
Un paio di minuti dopo riaprii la porta di plastica rossa, ma il mondo che mi si presentò davanti non era più lo stesso. C’era una folla soffocante di corridori compatta su ogni lato, faticai a raggiungere la grigia di partenza.
Una volta arrivata mi accorsi che la massa di persone non solo limitava la visuale a meno di un metro da me, ma rendeva impossibile localizzare l’ingresso del Beau Rivage.
Il punto di incontro che ci eravamo dati era perduto. Pensai che mai più avrei scelto un punto di riferimento ad altezza uomo. Fu il mio ultimo pensiero razionale, poi entrai nel panico.
Se avevo perso il punto di ritrovo, avevo perso mio padre.
Mancavano 4 minuti alla partenza e forse mi attendevano 42.192 metri di corsa da sola. Non potevo nemmeno pensarci.
Continuai a cercarlo con lo sguardo, mentre mi facevo largo a fatica.
All’improvviso ebbi un’illuminazione. Se ci stavamo muovendo entrambi, non ci saremmo mai trovati. Quando ero bambina mi aveva lasciata seduta nel bosco, per quello che allora mi sembrò un tempo interminabile, dicendomi “torno subito, tu aspettami qui”. Sapeva quanto mi avesse terrorizzata quella vicenda, ero certa che in quell’esatto momento gli fosse venuta in mente e che avrebbe ragionato allo stesso modo di allora: dovevo restare dov’ero e aspettare che mi trovasse.
Decisi di uscire dalla folla e mi posizionai in un punto sopraelevato.
Guardai l’orologio e mancavano 3 minuti. Ebbi un sussulto e fui in preda all’impazienza. Chiusi gli occhi e visualizzai mio padre: maglia rossa, pantaloncino nero.
Riaprii gli occhi: ce n’erano a centinaia.
Papà scusami, ma io non ce la faccio. Mi ributtai nella griglia e cercai tra i visi.
Lo speaker urlò “2 minutes à le depart!” come se fosse la notizia migliore che potesse darmi.
Il vociare della folla in estasi aumentò di volume.
Ora battevano le mani come in un rito tribale.
Sembravano un banco di pesci, dondolavano avanti indietro per scaldarsi e con addosso i sacchi termici argentati scintillavano in un unico mare.
Un minuto. Stavo sudando sotto il mantello di plastica argento. Misi a fuoco la realtà: c’era ormai l’altissima probabilità che non ci saremmo trovati. Feci allora una lucida proiezione dei fatti: Allo sparo tutti noi avremmo iniziato a muoverci nella stessa direzione, a quel punto avrei potuto tentare di raggiungerlo.
Se lui fosse stato davanti a me. Ma se invece fosse stato dietro? Allora avrei dovuto rallentare e sperare che tentasse lui di raggiungermi.
Qual’ è la tua strategia, papà?
Ero certa che a quel punto avesse già calcolato con precisione le probabilità di trovarci che io avevo solo stimato.
Fu più o meno allora che quella idea mi balenò in mente.
Senza di lui io non parto, non ha senso.
Mi ritiro.
A 15 secondi dallo start partì un conto alla rovescia corale. Le voci all’unisono battevano il tempo della mia condanna, il mio cuore invece batteva veloce e pesante.
Poi ci fu lo sparo e i corridori iniziarono a muoversi come in un unico corpo e io ne facevo parte.
Metabolizzai in un boccone l’idea che la nostra prima maratona sarebbe stata in solitaria. Corsi alcuni passi pesanti, in trance. Vidi persino l’unico volto al mondo che avrei voluto vedere in quel momento.
Ci guardammo negli occhi.
Lui era lì, io ero lì, in carne ed ossa.
Credo che entrambi fossimo sull’orlo di scioglierci in lacrime.
Poi ci furono 42 km di corsa.
-Papà?
Sono al punto di ritrovo e sono le sei passate da un paio di minuti. Davanti a me il paesaggio è inghiottito dalla nebbia mattutina e l’ingresso nel bosco sparisce dopo la prima fila di alberi.
-Ti ricordi la nostra prima maratona, quella volta che ci siamo persi…
Faccio qualche passo verso gli alberi.
-Sai come faccio da allora nel caso dovessi perderti? Vengo al nostro punto di ritrovo, un punto inequivocabile. Poi entro nel bosco, o percorro una strada di città. Basta che io abbia le scarpe da corsa ai piedi e tu compari come quella volta alla partenza.
Scommetto che lo sapevi che insegnandomi a correre, mi avresti lasciato qualcosa di te.
lunedì 2 novembre 2020
Lunigiana Bike Trail (Massa-Carrara) 17-20 Ottobre 2020
Mtb - Lago Layet - Vallone di Saint Marcel(Ao) 31 Ottobre 2020
Dal racconto dell'OrcoBee
Aderisce senza batter ciglio l’Ogredoctor, anche lui sempre più affascinato dalle due ruote.
L’atmosfera generale è di nuovo pesante, siamo ripiombati nel pieno dell’incubo collettivo da Covid, i contagi dilagano anche tra gli Orchi (in bocca al lupo a tutti!) e limitano la presenza all’uscita.
Il venerdì pomeriggio leggo velocemente la descrizione dell’itinerario e noto le avvertenze su qualche tratto dalle pendenze veramente toste con rampe ancora più feroci dovei occorre scendere dalla bici...mi preoccupo un po’; vabbè aggiungiamo incubi agli incubi, del resto il 31 ottobre si festeggia Hallowen per i più giovani, è vigilia della festa di Ognissanti per noi più attempati.
Partiamo alla volta di Saint Marcel di buon mattino in una pianura nebbiosa e freddina.
All’imbocco della valle le nebbie si diradano e ci accoglie un cielo blu, i colori autunnali fanno capolino, ormai anche in bassa valle.
Ci aspettano 1300 metri di dislivello in 16 Km circa ma il grosso sarà fatto negli ultimi 6 km con le famose rampe di cui si diceva.
Allevia le nostre ansie una spettacolare ambientazione autunnale con i colori tipici di questa stagione di mezzo. Il primo tratto di strada è asfaltato; si sale, scacciando i primi brividi di freddo, in mezzo a splendide borgate, pendii curati, e pennellate di verde-giallo-rosso-marrone. Ogni tanto la vista si apre sulle montagne della Valle, Ci sono alcune frazioni che godono di una vista che spazia dal Bianco al Cervino e al Massiccio del Rosa, le pause per contemplare tanta bellezza sono d’obbligo e ci consentono di rifiatare. Il sole, pur essendo l’itinerario nel versante all’ombra, comincia a scaldare.
L’asfalto termina dopo 9 km alla frazione Drugees. Comincia lo sterrato che aggira le vecchie Miniere di calcopirite (visitabili: info https://www.minieresaintmarcel.it/) la gita comincia a svelare la sua natura: ottimo fondo ma rampe feroci. Dapprima gli strappi si alternano a tratti di falsopiano, dopo un cancello una discesa ci fa perdere qualche metro e rifiatare ma sarà l’ultima occasione. Da lì in poi la pendenza passa da una media del 10-12% a strappi al 16% e muri oltre il 20%. Per fortuna la bellezza del posto e della giornata ci forniscono il pretesto per frequenti pause che preservano le coronarie dall’esplosione. Si passa più volte il torrente Saint Marcel, alcuni alpeggi, e poi sempre sui muri ci si affaccia sulla nostra meta, il lago Layet, semighiacciato. Da li, volendo, con altri due km sempre molto ripidi si arriva all’ultimo alpeggio del vallone.
Pausa e tempo per cambiarci e comincia le seconda parte della gita, la discesa. Per un tratto ripete l’itinerario di salita per poi deviare sulla sinistra per una strada bellissima, leggermente più tecnica in mezzo ad un bosco di larici ingialliti dall’autunno che costeggia il torrente e ci permette di evitare tutto l’asfalto della prima parte di salita.
Le pendenze si fanno sentire anche in discesa, i freni delle bici e le mani dei ciclisti sono messi a dura prova.
In brevissimo tempo scendiamo e siamo alle macchine, non fa freddo, ci cambiamo e ci concediamo una birretta in quel di Fenis prima di tornare alle atmosfere cupe della quotidianità di questo periodo, purtroppo non per effetto di Hallowen.
La montagna ci ha di nuovo regalato qualche ora di bellezza, ha alleviato le nostre angosce e placato le nostre ansie; se in cambio ci chiede solo un po’ di fatica, va bene, siamo disposti a concedergliela.
Grazie a OrcoCamola, che ci ha fatto conoscere questo angolo più nascosto della Valle d’Aosta e a OgreDoctor, portatore sano e contagioso di grinta e tenacia.
W la montagna, W gli Orchi!
giovedì 29 ottobre 2020
Bici Gravel Tour Parco Gran Bosco di Salbertrand(To) 29 Ottobre 2020
Non sapendo se un nuovo LockDown ci farà stare a casa forzatamente causa Covid, approfittiamo di queste splendide giornate autunnali per far scorrere le ruote alle nostre Gravel. Non sia mai detto che ce ne dovremmo pentire.
Dunque, il modo migliore per utilizzare la Gravel, a mio parere, è pianificare un tracciato che preveda:
- 1 tratto, asfalto.
- 2 tratto, strade bianche o sentiero non troppo tecnico.
- 3 tratto, discesa e pianura su asfalto.
Eccolo dunque pianificato il tracciato di oggi 29 Ottobre.
I numeri:
- Partenza da Susa(To)
- Gravere. Chiomonte, Salbertrand (Asfalto)
- Gran Bosco di Salbertrand fino a Monfol (Sterrato)
- Sauze D'Oulx, Oulx, Salbertrand, Susa (Asfalto)
per 60km 1500D+ circa
Inizio bene la giornata dimenticando a casa, lo zainetto con la maglia di ricambio, la giacca antivento ed il cibo. Pazienza, rimedio grazie all'OrcoZoppo per mi fornisce un'antivento di riserva che aveva nella sua macchina. Il cibo lo comprerò al negozio di alimentari di Salbertrand.
Iniziamo il percorso sulla SS.24 che in 20km e 650D+ da Susa(To) ci porta a Salbertrand(To), dove R.I.P. il "mi Babbo" già da 16anni. In centro paese, mi fermo a comprare un panino con prosciutto&formaggio e un KinderBueno alla modica cifra di 2euro e 60Cent.
Da Salbertrand inizia la salita in pieno Parco Naturale del Gran Bosco (creato nel 1981). Magnifico luogo del cuore dove da ragazzo scorazzavo in lungo ed in largo.
Una sosta al Sersaret, che posto splendido. La Pandemia qui è presto dimenticata. Si contempla la magnificenza di questo nostro unico pianeta. Speriamo duri aancora a lungo. Cara Terra ti auguro eoni ed eoni ancora da vivere.
A quota 1700, frazione Monfol di Sauze D'Oulx, termina la salita e noi ne approfittiamo per la nostra sosta panino. Ahimè le birre sono rimaste a Susa per cui il panino è innaffiato con acqua e sali, 😥
Ci gettiamo in discesa verso Sauze d'Oulx e fare una sosta per curiosare in centro paese. Ma tutto tace, ed allora giù in picchiata verso Oulx per la nostra pausa caffè al Bar il Pacioch fronte piazza Des Ambrois. Anche qui umani assenti ed il barista che lamenta la scarsità di incassi.
Non resta che tornare a Susa su asfalto e finalmente con un bel vento favorevole alle spalle ideale per chiudere splendidamente questo Gravel Tour Park.
mercoledì 28 ottobre 2020
Hard Trek Selvaggio Blu - Baunei(Nu) 17-24 Ottobre 2020
Dal racconto dell'OgreDoctor
Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse
Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte,
scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei
mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano,
dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in
vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta…eravamo
felici.
Con
questo incipit tratto da Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni, iniziamo
il racconto della nostra breve, ma intensa esperienza in terra sarda.
Che
cos’è il Selvaggio Blu?
È un
itinerario unico nel suo genere, che si snoda fra il Supramonte di Baunei, un
piccolo paese del nuorese e il mare, ideato dagli alpinisti Verin e Cicalò negli anni
’80.
Nella sua formula originale durava 4 giorni e prevedeva, come ci ha raccontato Antonio Cabras, della Cooperativa Goloritzè, una vita ancora più spartana. Ora viene proposto in due versioni che seguono il percorso originale, ma che durano 5 o 6 giorni. Possiamo garantirvi, che anche nella forma più addomesticata, questo trekking, risulta assai faticoso e mette a dura prova la resistenza fisica e psichica dei partecipanti.
Per far il nostro giro ci siamo affidati alla Cooperativa Goloritzè, una delle due associazioni locali rimaste operative, che accompagnano gli escursionisti lungo il percorso e che gestiscono la logistica. Percorrere il tracciato in autonomia è, sì fattibile, ma diventa proibitivo, sia per la quantità di materiale da portarsi sulla groppa (tenda, sacco a pelo, materassino, materiale alpinistico, viveri), sia per la quasi totale mancanza di acqua lungo il percorso.Siamo
stati condotti lungo i sentieri invisibili dei pastori, le scale di tronchi di
ginepro a strapiombo sul mare, falesie, rocce
spettacolari, antichi ovili, boschi di lecci secolari,
macchia mediterranea, spiagge bianche e cale
incontaminate, da Marco, la nostra guida
escursionistica, molto preparato sulla storia della sua, della mia terra e
sulle tradizioni che in parte ci accomunano. La Sardegna è un’unica isola, al
cui interno però le differenze nel dialetto, nelle usanze e anche nel cibo sono,
a volte, molto marcate.
Il
tempo alla partenza è soleggiato e ci concediamo una breve sosta in una caletta
per un tuffo in un’acqua cristallina.
Riguadagnato il dislivello perso per arrivare al mare, si sale fino alla Cengia Giradili, da dove lo sguardo spazia lungo tutta la costa e dalla parte opposta, all’interno, verso le montagne del Gennargentu. Il tempo cambia. Siamo nel regno del vento e le nuvole corrono veloci, ambasciatrici della pioggia che non tarda ad arrivare. Dopo il 4 leccio secolare, (sistema cartografico sardo!) si arriva al primo campo, sito presso l’ovile di Gennirco. E sì le indicazioni sono rami di ginepro sapientemente disposti a terra, pietre messe sugli alberi, lecci secolari, perché di segni sul sentiero, fatta eccezione per gli originali segni blu, rimarcati, di recente, da una guida tedesca, che i locali sembra aspettino che si sbiadiscano e scompaiono, nemmeno l’ombra.
Montato
il campo, svestiti i panni sudati e umidi, abbiamo subito un assaggio di quelle
che saranno le nostre cene. Per la prima sera abbiamo i cululzones (ravioli di magro) con un ragù di capra e pecora
arrostita, il tutto accompagnato dalla onnipresente carta da musica, il pane
dei pastori, il carasau, anche nella
sua versione guttiau (gocciolato) e
dal vino Cannonau, di colore rosso
rubino, inebriante, normalmente invecchiato da due a sei anni e con una
gradazione alcolica mai inferiore a 12,5 per cento. Un vino morbido e robusto,
che si accosta perfettamente ai sapori forti della cucina isolana, alla
cacciagione, agli arrosti di carne, ai formaggi come il pecorino e il caprino. Si
dice che il cannonau, sia un vero e proprio elisir di lunga vita, che contiene il
triplo di anti-ossidanti di altri vini rossi e garantisce benefici al sistema
cardiovascolare quasi dieci volte superiori rispetto alle altre varietà di vino
presenti nel mercato e contribuisca alla famosa longevità degli isolani. A
pasto ultimato manco a dirlo, mirto, artigianale, come se piovesse.
Notte parzialmente insonne, la prima; forse la colonna vertebrale diversamente giovane deve abituarsi al terreno duro, anche se parzialmente mitigato dal materassino. Ci faremo l’abitudine e alla fine dopo cinque notti all’addiaccio, il letto del Rifugio del Golgo ci è sembrato persino troppo morbido e troppo comodo.
Alle 7.00 del mattino, si smonta il campo e alle 8.00 puntuali come un orologio svizzero arriva la Land Rover Defender con le colazioni.
Colazione a base di marmellata d’arancio, ricotta di capra, miele, torta fatta in casa, latte, the e caffe, per prepararsi alla giornata di cammino che ci aspetta.
In
tutta la settimana cibi confezionati sono rappresentati da una mozzarella e una
scatoletta di tonno; tutto il resto cibo fresco a chilometro zero.
Ritirato
il pranzo al sacco (pane, formaggio, salsiccia, pomodoro, cetriolo e frutta di
stagione), carichiamo i bagagli pesanti sul fuoristrada e siamo pronti per la
tappa successiva.
Supramonte
e dintorni risuonano del nostro mantra: “Battu
u belin in sci scheggi”, che tradotto dal genovese significa “non potrebbe
fregarmene di meno”. A proposito di genovesi, ma Roberto e Mauro, saranno
davvero fratelli?!
Giorno
dopo giorno la nostra avventura impegnativa procede lungo un’affascinante percorso di 36 chilometri fatto
di sentieri impervi dal fondo sconnesso, traversi su roccia, arrampicate e calate in corda,
immersi nei colori di una natura mozzafiato, il grigio del calcare, il verde
della macchia mediterranea, il profondo blu del mare, il bianco delle spiagge.
È stato un viaggio emozionante e faticoso, di cui ognuno di noi serberà un ricordo indelebile.
Il
gruppo residuo di 8 persone, dalle originarie 14, falciato dal Covid-19, si è
progressivamente amalgamato; la settimana è trascorsa senza screzi, senza
diverbi, senza incidenti. Le tanto temute manovre di corda e arrampicate, nei
tratti alpinisticamente più impegnativi, sotto l’occhio attento di Carlo, sono
passate senza problemi e anche i meno esperti, si sono diverti nel scendere,
forse in maniera non proprio ortodossa, ma alla fine consapevoli di non
rischiare nulla.
Con il senno di poi, credo che un gruppo di 14 elementi sarebbe stato difficile da gestire, soprattutto per le calate in corda doppia, che avrebbero richiesto parecchio tempo, facendoci arrivare alla fine delle tappe sempre un po’ in affanno. Capendo meglio cosa significa “Selvaggio blu”, qualche uscita in più su terreno scosceso e esposto, dove è necessaria concentrazione e piede fermo, non sarebbe stata una scelta sbagliata.
Avevamo pianificato questo viaggio prima del mio incidente, sospeso e poi ancora rimandato per l’emergenza Covid-19. Siamo partiti con tanti dubbi, con un tampone molecolare per fugare ogni remora, lasciando a casa, purtroppo, tanti di noi.
Alla
fine abbiamo fatto bene a partire, io ad insistere perché si partisse.
Sono felice
di essere riuscito ad arrivare in fondo e fare il bagno a Cala di Sisine, anche
se ho dovuto rinunciare ad una mezza tappa, per un fortissimo mal di stomaco
durante la seconda notte in tenda. Non era scontato. Camminare su questo terreno
è stata una sofferenza continua, arrivare a sera, togliere il tutore, guardare la
caviglia tumefatta, senza sapere se il giorno dopo sarei riuscito a camminare,
anche.
La
bellezza del luogo, la semplicità della gente, la loro ospitalità, la durezza
della vita dei pastori e dei carbonai che da questi luoghi hanno saputo trarre
il massimo possibile, gli animali allo stato brado, liberi di andare e venire
nel loro habitat naturale, il comunismo ante litteram che da sempre appartiene
a questa gente, sono alcune delle emozioni forti che mi porto a casa.
Chiudo
con l’ultima immagine di noi 8, sotto un immenso campo stellato, con la via
lattea disegnata sulla volta celeste e Marco, la nostra guida, che disegna con
un fascio di luce le costellazioni.