Dal racconto dell'OgreDoctor
La voglia di fare qualcosa di alpinistico è tanta, ma le condizioni della neve già alla vigilia non sembrano buone. Temperature costantemente sopra lo zero e zero termico a quote elevate, con aggiunta di qualche precipitazione nevosa, sono un mix che lascia poche speranze.
Da qualche settimana tenevamo d’occhio alcuni canali di discreto impegno alpinistico, raccordandoci con le notizie dei gestori dei rifugi, per sapere se altri, prima di noi, avessero tentato la salita e anche qui abbiamo raccolto solo cattive impressioni.
Venerdì decidiamo di partire ugualmente e per non aggiungere al probabile insuccesso, anche un viaggio lontano e conseguentemente esborso, decidiamo di stare in zona e provare la salita al Couloir Fuoritraccia, sulla parete ovest della Punta Loson.
La Punta Loson è giusto davanti al Monte Robinet e ci passai con l’OrcoZoppo durante un “breve allenamento” che da Forno di Coazze ci portò a toccare, passando dal Colle della Roussa, tutte le punte di cresta fino alla cima del Robinet, ivi compreso il Loson.
La parete ovest è giusto dall’altro versante che siamo abituati a vedere quando saliamo al Rifugio della Balma, quello che guarda al vallone selvaggio e impervio del Rouen.
Si parte dalla borgata Albornù a quota 1400 metri slm, sopra la Gran Faetto nei pressi di Villaretto. Ovviamente le giornate storte, partono già male da subito, perché così facendo aggiungiamo 300 metri di dislivello, ignari che esistesse una strada fino alla borgata Prato del Colle, camellandoci uno zaino di 12 kg, con tutto il materiale necessario per queste alpinate.
Il sentiero di salita viene etichettata alla partenza come “Alpinisti esperti”. In realtà il sentiero è tracciato benissimo (341) e forse come unica difficoltà degna di rilievo passa su una cengia un po’ esposto ma larga intagliata sulla caratteristica Rocca Vergia.
Il sentiero prosegue per il colletto Robinet, (bellissima alternativa per una salita estiva classica) ma a quota 2100, dove comincia la neve, ci spostiamo decisamente sulla destra, puntando per rocce e rododendri, ovviamente coperti, verso la bastionata rocciosa e il conoide di accesso del canale.
E da questo punto che, affondando a mezza gamba ad ogni passo sulla neve non portante, realizziamo che non saremo riusciti a compiere l’ascensione, nonostante la sveglia alle 4.30 del mattino per trovare il rigelo notturno.
Caparbiamente proseguiamo sperando, che la quota ci regali un po’ di neve portante, ma invano. Giunti all’imbocco del canale, valutiamo attentamente i tempi di salita e le probabili condizioni della neve nella parte più alta. Siamo poco preoccupati per i due tiri della goulotte, da fare su ghiaccio e sui quali esistono delle protezioni in loco integrabili con i chiodi da roccia e martello che avevamo al seguito, ma la parte di canale su neve a 45°, di difficoltà classica e per le quale è sufficiente camminare con una piccozza, ma improteggibile, con una neve di questo tipo, presentava troppe incognite specie in uscita, per affrontare la cresta che porta alla cima.
Breve summit, con manifesto, giramento di c…, e retromarcia, nuovamente su neve sfondosa e faticosa.
Nonostante la delusione per la mancata riuscita del progetto, siamo comunque contenti per l’allenamento e per il bellissimo ambiente. Portiamo a casa la consapevolezza che bisogna essere più bravi nella preparazione pre-gita, valutando bene i parametri a nostra disposizione.
Sicuramente torneremo con più chance di riuscita, ora che conosciamo percorso e insidie. L’alpinismo di ricerca è an che questo: a volte è anche bello provare ad uscire dagli schemi e dalle relazioni di Gulliver per provare ad uscire “fuori traccia”.
W Gli Orchi
W la Montagna
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