mercoledì 9 gennaio 2019

Goulotte Grassi-Tessera (Monte Ferra) - Celle di Bellino(Cn) 4 Gennaio 2019



Foto Cascatismo goulotte Grassi-Tessera


Dal racconto dell’OgreDoctor

Nell’alpinismo la goulotte è una formazione nevosa o di ghiaccio troppo dritta e ripida per essere sciata, distinguendosi così dal couloir e per la cui salita è necessaria la tecnica dell’arrampicata su ghiaccio.
Solo a vederla incute terrore e un sacro rispetto, sapere poi, che fu Giancarlo Grassi a percorrerla per la prima volta, ne aumenta il fascino.
Non avrei mai pensato di affrontare una salita valutata TD, ovvero “molto difficile”; fino a questo momento il massimo grado di difficolta era stato un AD “abbastanza difficile”, salendo il Dente del Gigante.
Ma nella vita c’è sempre una prima volta e la squadra è quella giusta, affiatata e collaudata.
La sveglia è di quelle che fanno male: 3.30 del mattino. Ritrovo a Carmagnola alle 4.30 e partenza per Celle di Bellino, un vallone laterale della Valle Varaita, che dopo la terza uscita, nel giro di due settimane, dovrebbe darci la cittadinanza onoraria.
Alla luce delle frontali saliamo il sentiero u23, che conduce al colle Bondormir (2757 m). Dal colle con un traverso a sx ci si sposta verso la goulotte che risulta evidentissima sotto la muraglia centrale del Monte Ferra (3094 m).
Il manto nevoso è duro, lavorato dal vento. I ramponi incidono la neve e percorrendo l’esile traccia, lasciata da chi ci ha preceduto, arriviamo al conoide di deiezione, un canale di 50°, per fortuna su neve portante. Ci vorranno 1200 metri di dislivello e circa 3 ore di cammino per arrivare ad indossare l’imbrago e legarci per iniziare la scalata.
La base della goulotte è situata a quota 2800 metri e ha uno sviluppo di circa 200 metri, articolato in quattro tiri, tutt’altro che semplici, 70, 80 gradi con alcuni tratti a 90°. Il ghiaccio è lavorato dalle cordate che ci hanno preceduto, nota positiva, in quanto riduce lo sforzo degli arti superiori per piantare le picche, andando, dove si può e si riesce, in aggancio.
La temperatura si mantiene per tutta la giornata al di sotto dello zero, il che è un bene, considerando quello che si sta facendo e la poco rassicurante cornice che si staglia sulla cima della montagna, al di sopra delle nostre teste.

Ma al di là di qualche inevitabile pezzo di ghiaccio misto a roccia che, accompagnano costantemente questo tipo di ascensioni, la nostra progressione procede senza intoppi.
L’ultimo tiro lo percorriamo su un ghiaccio spaccoso e duro come la pietra, ma alla fine arriviamo in cima, pronti per buttare giù le corde per le quattro doppie.
Ripercorriamo il conoide di deiezione che faccia a valle è ancora più impressionante; guai a scivolare. La neve dura e i ramponi fanno il loro lavoro egregiamente e, in men che non di dica, siamo di nuovo al colle Bondormin, che a differenza del versante teatro della nostra scalata, esposto a Nord-Est, in ombra per tutta la giornata, è scaldato da uno splendido sole.
Arrivati ad una piccola baita diroccata, svestiamo i panni umidi e mangiamo qualche tarallo misto a scaglie di parmigiano, ormai un “must”, durante le nostre scalate. Riposto il materiale e tolti i ramponi ci apprestiamo a percorre gli ultimi metri di dislivello, fortunatamente in discesa.
Alla macchina spengo il gps e do una rapida occhiata ai dati: 10 ore e mezza di gita, per un dislivello totale in salita di 1400 metri e uno spostamento di circa 16 km. Niente di speciale, se guardo i dati con la mente di un trailer, abituato a percorre dislivelli e chilometraggi decisamente superiori, ma ci sono i 10 e più chili sulle spalle di materiale che fanno un enorme differenza.
Pregustiamo già la consueta birra accompagnata da cibarie deliziose al Risto-Bar la Spada Reale a
Frassino. La proprietaria ormai entrando ci riconosce, tante sono le volte che dopo aver salito una cascata passiamo a rifocillarci nel suo locale. Questa volta ci va male, troviamo le imposte chiuse e ci accontentiamo di un bar qualsiasi.
Arrivato a casa ho difficoltà a prendere sonno, nonostante la fatica. Negli occhi semi chiusi passano le istantanee della giornata appena trascorsa: i colori dell’alba, il bagliore accecante della neve, il freddo che ti entra nelle ossa quando sei in sosta, l’adrenalina che ti incendia la mente quando sali, i cristalli di ghiaccio e le scaglie di pietre che ti martellano incessantemente il casco, il sorriso dei compagni di cordata e l’abbraccio fraterno quando tutto è finito e giunti alle macchine ci salutiamo con lo sguardo di chi sta pensando: a quando la prossima!

Sono consapevole di aver portato a termine una salita al di là della mia immaginazione e di quelle che pensavo essere le mie capacità e che oltre questo limite sarà impossibile andare, l’asticella è salita ben in alto, questa volta. Al di sopra del TD nella scala delle difficoltà alpinistiche francese esiste solo ED (estremamente difficile) e qualche salita denominata ABO (abominevole).
Molti si domanderanno che senso abbiano certe imprese, dove si sfida il limite e conseguentemente la sorte.
Non ho una risposta. Terray Lionel definì nel suo celebre libro, gli alpinisti con il termine “conquistatori dell’inutile” che sintetizza perfettamente quello che significa scalare le montagne: uno sforzo senza scopo per raggiungere un orizzonte che si allontana con lo stesso passo con cui si cerca di raggiungerlo.

Ma fatte le dovute proporzioni, per il tipo di rischio a cui si sceglie consapevolmente di sottostare praticando l’alpinismo a certi livelli, non vi trovo alcuna differenza rispetto a correre una 100 miglia, che sia in montagna o su strada, un Tor de Geants o una duecento chilometri in bicicletta.
Sono tutte imprese che guardate dall’esterno, da chi non le fa, vanno al di là delle logiche quotidiane. Che senso ha sopportare fatiche immani, arrivare al limite per il solo gusto di toccare una cima, tagliare un traguardo? 
Forse, nessuno.
Ma questa sera mi addormento, sfatto, consapevolmente felice di aver realizzato un’impresa priva di senso logico e attendo, nella mia stupidità, impaziente, di programmare la prossima.
W Gli orchi, W la montagna

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