Foto Cascatismo La sorgente del falco - Duerche
Dal racconto dell'OgreDoctor
Andare per cascate durante la settimana ha il suo fascino. La montagna è avvolta nel silenzio che in questa stagione non esito a definire glaciale. Percorrendo il sentiero di avvicinamento sentiamo solo i nostri passi, che scricchiolano sulla neve dura mista a ghiaccio e il nostro vociare, che rimbomba nella vallata operosa.
Interrompere il normale corso della settimana, costa fatica (nemmeno troppa), ma la stagione delle cascate è effimera e nel breve arco di due mesi consuma tutta la sua bellezza, mai uguale. Anche ripetendo le stesse cascate di anno in anno, le sensazioni sono differenti, il ghiaccio prende forma in modo diverso e il flusso ghiacciato può diventare più o meno ripido, più o meno difficile.
La scala delle difficoltà del ghiaccio è leggermente differente da quella della roccia e dell’alpinismo. Si usano tre valori: il primo in numeri romani con una scala da I a V per l’avvicinamento, il secondo in numeri arabi da 1 a 7 per le difficoltà tecniche e l’ultimo, che penso non sperimenterò mai, rappresenta le difficoltà di misto o di dry tooling composta da una M seguita da un numero arabo da 1 a 14.
Il dry tooling, per chi non lo conosce, è una tecnica di salita per quelle cascate che presentano sezioni di ghiaccio alternate a tratti rocciosi, che vengono affrontate sempre con piccozze e ramponi, ma utilizzando gli attrezzi infiggendoli o in aggancio negli anfratti e fessure della roccia. Negli ultimi anni, è diventato una vera e propria disciplina a sé stante.
La nostra cascata è valutata III/4, in altre parole l’avvicinamento presenta una salita lunga (300 d+), con pericoli oggettivi limitati, discesa in doppia o lunga ma evidente e per quanto concerne le difficoltà tecniche su ghiaccio ci aspettano passaggi a 75-85 gradi con tratti verticali fino ad una decina di metri, con la possibilità solitamente di buone soste.
La sorgente del falco oggi è tutta per noi, due cordate da due in modo da potersi alternare sui tiri senza difficoltà.
Il sentiero di avvicinamento parte dalla frazione di Servaz a cui si perviene con una deviazione a 180° poco prima dell’abitato di Valtournance. Un bellissimo tracciato in mezzo al bosco che porta, passando a mezza costa, verso Chamois. Siamo a 1400 metri di quota e l’attacco della cascata è posto a 1700 metri.
Dal nostro punto di osservazione possiamo ammirare il Cervino, le Grandes Murailles e la Dent d’Herens, anche se per un breve arco di tempo, perché il fondo valle rimarrà poi celato per tutta la giornata. Alle 15 del pomeriggio era prevista una piccola nevicata, che puntualmente arriverà.
Lasciati gli zaini all’attacco del primo risalto, giunge l’ora di incrociare gli attrezzi. Carlo mi guarda e mi dice: se te la senti, vai. Da qualche parte bisognerà pur iniziare, penso. E allora che faccio? Ma si, vado…
Il primo tiro è quasi 60 metri, con alcuni risalti verticali non troppo lunghi. Il ghiaccio mano a mano che si sale diventa più plastico e le piccozze si infiggono bene, facendo il loro lavoro egregiamente e così la parte di sotto, i piedi che, come su roccia rappresentano il mio tallone d’Achille. Ho a disposizione otto chiodi da progressione e li uso tutti. Il tiro si chiude con la ricerca di dove fare una sosta degna di questo nome per recuperare il compagno. Arriva anche Chiara, la prima della seconda cordata e facciamo sosta su un muretto ghiacciato. Lo spessore del ghiaccio trasparente lascia intravedere la roccia sottostante. Dopo qualche tentativo, in cui la vite gira angosciosamente a vuoto, troviamo un punto dove morde bene fino in fondo e confezionata una bella sosta, recuperiamo i rispettivi compagni.
Il secondo tiro è un bellissimo free standing (una colonna staccata) di una 15 di metri a 90-95 gradi e ovviamente tocca a Carlo, il più esperto della comitiva, salirlo.
Bellissimo. È il tiro chiave, breve ma intenso. Ogni tanto devo staccare una mano dall’attrezzo e “sghisare”. A differenza di altri, non ho mai sperimentato la “bollita” (quando le mani a causa dell’ipoafflusso di sangue ad un certo punto fanno un male dell’accidenti). La scampo anche questa volta. Sarà l’adrenalina, ma le mie mani anche se un po’ intorpidite, rimangono calde e non fanno male.
Ci risiamo. Il terzo tiro è più facile, scelgo la linea più semplice, dove il ghiaccio mi sembra migliore e viaggio verso la sosta su albero su un bel cordone. Salire è comunque sempre un sollievo. Il corpo riprende un po’ di calore con il movimento, dopo essere stato a lungo fermo per le manovre di recupero in sosta.
Il 4 tiro è una ravanata fra salti facili e bosco e il 5 un anfiteatro di 30-40 metri a 60-70 gradi con un breve risalto con ghiaccio molto sottile da fare con le dovute cautele per non spaccare tutto.
Il 6 tiro è di nuovo un bel muro verticale i cui primi 20 m a 85-90 gradi, poi abbattuto. Vai Carlo, questo è il tuo pane. Appeso alla sosta fatta con due chiodi e una clessidra, lo guardo salire sicuro, memorizzando i passaggi. A metà del muro bisogna risistemarsi sui piedi perché la colonna butta un po’ in fuori e a destra sbilanciando lo scalatore. È il mio turno, salgo lasciando i chiodi per la cordata successiva. Ogni tanto sui tiri più complicati dove chiodare è un rischio, facciamo così. Avere i chiodi già posizionati non è come arrampicare da secondo, ma è sicuramente una facilitazione, dovendo staccare la mano dall’attrezzo per un tempo inferiore.
Ci raccogliamo tutti in cima e anche la Sorgente del Falco diventa storia.
La discesa “lunga ma evidente”, di cui sopra, è un’autentica schifezza. Camminiamo con i ramponi su un tappeto di rododendri su un pendio scosceso. Tira fuori la picca che è meglio…Sentiero…sospiro di sollievo!
In piola di consuma il rito del primo vero tiro da primo e mi tocca pagare da bere a tutti, ma lo faccio volentieri, soddisfatto per la salita appena conclusa.
Al grido W gli Orchi, W la montagna, vado a dormire, dandovi appuntamento alla prossima zingarata.
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