lunedì 19 settembre 2016

Tor des Geants Endurance Trail Courmayeur(Ao) 11-17 Settembre 2016

Diario Tor Des Geants 2016
Foto Tor Des Geants 2016 Niel-Gressoney
Classifica Tor des Geants 2016
Sito Tor des Geants

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…Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi?... (Vecchio Testamento)

Dal racconto dell'OgreDoctor

Gigante io, no grazie!
Chiariamo subito un fatto gli unici giganti che ho incontrato, fatta eccezione delle splendide cime che, dall’alto dei loro pennacchi innevati, sorvegliavano divertite e annoiate le nostre gesta, sono le migliaia di volontari che questa manifestazione riesce a mettere insieme; mai una parola cattiva, sempre sorridenti, pronti a soddisfare tutte le richieste, anche quelle più strane e negli idiomi più diversi.
Una vera forza della natura, la vera anima del Tor e del suo successo.
Cosa non di poco conto: non sono pagati per quello che fanno; forse l’unica realtà realmente gratuita in una competizione dove si respira aria di business, in ogni angolo.
Il Tor de Geants è una macchina da soldi ed è facilmente comprensibile l’acredine che si è generata fra le due opposte fazioni, per accaparrarsi l’appetitosissima torta.
Del 4K in realtà non ne parla più nessuno e le persone normali, la gente del posto, tifa solo per il Tor, schierandosi in aperta contrapposizione con la gara gemella. L’effetto mediatico che avrebbe potuto avere la gara “ordita” dalla Regione è stato cancellato dalla successiva onda anomala delle migliaia di luci, colori, grida festanti, nonché dalle lacrime e sudore dei partecipanti al Tor de Gents. La gente ricorderà questa, l’ultima, l’autentica kermesse valdostana, alla sua settima edizione, la più sofferta, ma anche una delle più riuscite.
Correndo per le alte vie, ho incontrato situazioni davvero curiose e divertenti: da una parte l’indicazione del Tor e subito davanti in direzione contraria quella del 4K.
La contrapposizione fra le due gare è dunque anche sull’asfalto.
La segnaletica del Tor, invece, fa parte del tessuto urbano, si confonde con i cartelli delle alte vie, la trovi imbullonata alle pietre, segno dell’investimento, fatto negli anni passati, per renderlo qualcosa di permanente, facente parte della memoria collettiva del popolo valdostano.
Dove sta il problema? Basta sbullonare quelli vecchi e sostituirli con quelli nuovi!
Mi raccomando nel senso giusto però! Non creiamo confusione…perché il Loson fatto subito e nel senso contrario fa un sacco di differenza!
La differenza, in realtà, la fanno i km e il dislivello percorso, quello positivo, ma più ancora quello negativo, che a conti fatti, sono molto di più, e non di poco, rispetto a quanto dichiarato.
Caricando le tracce sulle mappe Garmin e facendo i conti sull’intero periplo, così come risulta dai percorsi ufficiali, risulterebbero circa 360 km e 30.900 metri di dislivello positivo.
Ma non erano 330 e 24.000? o forse anche qui, dovendo cambiare i giochi, per problemi di autorizzazioni e accordi, a stampe dei manifesti e dei vari striscioni e quant’altro serve a rendere colorato il Tor, non era più possibile fare marcia indietro e, pertanto, meglio lasciare passare la cosa sotto silenzio e ammettere se mai a posteriori l’evidente errore, se di errore si può parlare.
In effetti, un po’ preso per il deretano, mi sento, ma che importa il Tor e il Tor!  lo abbiamo sentito ripetere tante di quelle volte ed è un po’ il leitmotiv della manifestazione!

Rare volte mi è capitato di ammirare il creato in tutta la sua magnificenza e splendore come durante questa settimana del Tor de Geants.
Da solo, sperso fra i monti, illuminato dalla luce della luna, per ore e ore a camminare e correre sotto miliardi di stelle, così vicine da poterle quasi toccare, rimanendo in contemplazione estatica di ciò che mi circonda e il tutto senza nemmeno una canna!
E quello che mi circonda è così immenso e spendente da farmi sentire un nulla, una pulce nell’universo, in balia degli eventi, altro che gigante.
Ma non so perché, non ho paura! Non cerco la luce rassicurante di qualche altra frontale, il calore umano, ma proseguo dritto per la mia strada, immerso nei miei pensieri, quasi stessi facendo un cammino di Santiago in versione alpina.
Ad un certo punto del viaggio, ne ho, però, percepito la stupidità e la follia e qualsiasi velleità di classifica o di tempi è svanita nel nulla; le gambe hanno risposto al comando imposto dal mainframe è hanno scalato una marcia: che senso ha correre come un disperato e non godere nemmeno per un attimo di così tanta bellezza?

Ho accarezzato il proposito di fermarmi e porre fine a quello che mi sembrava un’assurdità, ma quelle rare volte in cui mi sono ricollegato con il mondo, con quella appendice telematica che è il cellulare, i tantissimi messaggi di incoraggiamento, di incitamento, di stupore di tutti quelli che mi stavano seguendo da lontano, in ansia anche per la mia salute, che mi volevano bene, mi ha dato la carica per continuare per portare alla fine, in un modo o nell’altro, quanto avevo iniziato.
Non volevo deludere nessuno, ma vi garantisco che, il primo a non rimare deluso da un eventuale ritiro sarebbe stato il sottoscritto.
Due giorni di pioggia, quasi ininterrotta, hanno messo a dura prova il coraggio, la forza, la stoica determinazione. In quelle condizioni, con indumenti ormai fradici e lontani dalla base vita per un eventuale ricambio, più che di corsa si deve parlare di lotta per la sopravvivenza. Ho chiesto aiuto a Pino e Mauro per avere qualche indumento per sostituire quelli ormai fradici che avevo nello zaino, ma non sono bastati.
I miei due amici Orchi e il mio amico Giovanni, che mi ha fatto la sorpresa di arrivare alla base vita di Gressoney anche con mio figlio Luca, sono stati splendidi, mi hanno aiutato, coccolato e servito come una vera crew, come se fossi un pilota di F1. Ho apprezzato l’enorme differenza fra l’essere solo ed essere costantemente aiutato nelle basi vista da una squadra che ti segue, ti fa trovare i vestiti asciutti, ti recupera la borsa, ti prende il cibo, evitandoti le code, ti aiuta a rifare lo zaino. Un milione di piccole cose che tutte insieme fanno un mare di differenza, quando l’obiettivo è essere veloci e performanti. Grazie di cuore a tutti, per l’aiuto disinteressato che mi avete dato.
Venendo giù dal Col Chateby (2653 m), dopo il Rifugio Cuney, la pioggia fitta ha ormai lavato via ogni speranza di rimanere al caldo. La tappa è lunga fino ad Oyace, passa prima per il bivacco Clermont (2700 m) e il colle di Vessonaz (2793 m) prima di cominciare a scendere decisa. Tutti passaggi in alta quota e la morsa del freddo si fa sentire, mi preoccupa. Se dovessi mai cadere e ferirmi da dover stare fermo, in quella situazione in un attimo andrei in ipotermia, coperta termica o no.
Poi capita quello che non ti aspetti.
Il Cielo si manifesta con il volto di un commissario di gara, un giovane dal nome Jean Pession. Forse la mia faccia era vistosamente preoccupata; sta di fatto che senza nemmeno chiedere, mi ha domandato se avevo bisogno di qualcosa. Io gli ho subito chiesto se avesse qualche indumento asciutto da prestarmi e lui senza esitare, come un novello San Martino, ha diviso il suo mantello con uno sconosciuto viandante.
Mio caro Jean senza il tuo aiuto, disinteressato (in fondo non avevi nessun garanzia di avere indietro i tuoi indumenti), non avrei finto il Tor e forse sarei andato incontro a guai assai peggiori. Non credo che dimenticherò mai il tuo nome, né il tuo gesto di pura e autentica carità cristiana.
La sicurezza al Tor come del resto in tutte le gare di queste dimensioni è un’illusione. La montagna è signora e padrona delle nostre vite e basta uno starnuto per cambiare le sorti di una manifestazione fino a quel momento filata liscia.
Ho passato un’infinità, di colli, attraversato un numero altrettanto elevato di valli, senza incontrare un’anima, se non quelle presenti ai punti di controllo e ristoro, collocati più in basso o nei rifugi. Una caduta, un malore e sarei stato spacciato. Avrei dovuto fare affidamento sul cellulare, che nove volte su dieci, a quelle quote, non riceve.
In definitiva avrei potuto contare solo su me stesso, sulle mie capacità di sopportazione del dolore, della fatica e del freddo e attendere il passaggio di qualche altro concorrente per avere un aiuto. Mi domando anche se il tanto discusso GPS, possa fare o meno la differenza. Sicuramente può facilitare la localizzazione, non so quanto possa velocizzare i soccorsi. Ci sono stati momenti in cui per visibilità e intensità delle precipitazioni l’elicottero non sarebbe riuscito ad alzarsi in volo.
Chi si iscrive a gare di questo tipo, con questo sviluppo, deve sapere che è richiesta una buona capacità di autocontrollo e di gestione del proprio corpo, deve essere cosciente che in alta montagna, nonostante le previsioni meteo, il tempo può cambiare e in maniera drammatica. Mai spingersi oltre, mai oltrepassare la soglia del non ritorno, potrebbe non esserci una seconda chance.
Arrivato al traverso che porta al colle Malatrà con altri due runners (con uno dei quali avevo già fatto l’ultimo terzo di gara, l’altro invece ha chiesto di venire con noi al colle, evidentemente non voleva essere solo), dico agli altri di calzare i ramponcini e di farlo ora, che siamo sul piano, perché sul traverso la presenza del ghiaccio potrebbe complicare le cose.
Mentre armeggio con i miei ramponcini che calzo a tempo zero per non raffreddarmi, arriva un quarto runner, che riconosco, ma di cui per riserbo non faccio il nome. Anche lui vedendoci decide di calzare i propri. Alla richiesta “però mi dovete aiutare, perché io non so come si fa” – in effetti erano ancora nella confezione da aprire - sono rimasto interdetto. Ma come? vieni a fare una corsa dove i passaggi al di sopra della quota neve sono tantissimi e alcuni pericolosi e esposti e non hai provato nemmeno una volta a casa come si calzano i ramponi, non sai che si può formare uno zoccolo? Non sai che sul misto possono essere pericolosi, se non sei abituato ad usarli? Ma come farai sulla corda fissa lassù sul Malatrà? Calma, farplay!

Ma l’esperienza in alta montagna richiesta per fare la gara allora qual è: l’essere andato al Rifugio Torino con la Sky Way?
Come dire…la madre degli imbecilli è sempre incinta!
La sicurezza in primo luogo nasce dalla consapevolezza di essere padroni dei propri mezzi e in possesso di una buona tecnica di base. L’imprevisto poi esiste e se potessimo controllare anche quello non esisterebbero gli incidenti.
Tutto è filato liscio, per fortuna, i meno preparati si sono ritirati indenni e il Tor ha avuto i suoi finisher, i suoi giganti, circa la metà dei concorrenti al via, da osannare e può finalmente gridare al successo.
Fra questi ci sono anch’io, un po’ frastornato, ma integro.
Alle 4.58 di sabato mattina, dopo più di 138 ore di marcia, di cui 8, circa, passate a cercare di dormire, ho varcato il traguardo in una Courmayeur deserta e addormentata.
Sono troppo stanco per gioire.
È stato un viaggio lungo, di cui faccio fatica a distinguerne le tappe, riesco a mala a pena a vedere l’inizio e la fine, il resto rimane confuso e indefinito, una sequenza di nomi e di passaggi che la memoria non è ancora riuscita a collocare nello spazio tempo. Alcuni tratti forse non riemergeranno mai dal magma indefinito dell’inconscio perché percorsi in quello stato al confine fra la veglia e il sonno, dove la mente cerca incessantemente di mantenerti vigile, dove le immagini più strane si presentato alla coscienza, dove l’incedere non è un camminare spedito, ma un barcollare da ubriaco.
Sono tornato alla vita normale. Faccio ancora fatica a dormine un sonno continuo. Mi sveglio ogni 2 ore, pensando di dover ricominciare a viaggiare. Il ricordo di quanto ho vissuto è ancora così forte, da rendere difficile lavorare e ancora preferibile cercare l’isolamento, il silenzio, la pace.
Nelle interminabili ore passate da solo con me stesso, mi è capitato di pensare a quanta energia, in termini di Joule, abbiamo espresso, tutti insieme, così tanta da illuminare a giorno una città!
E se fossimo capaci di canalizzare tutta quell’energia in qualcosa di davvero utile all’umanità, che Giganti saremmo sul serio.

Gigante io, no grazie!

1 commento:

  1. Grande viaggio, Antonio! La poetessa canadese Anne Carson ci ricorda che “l’importante è attraversare i confini e augurarsi che la strada sia lunga: l’unica regola del viaggio è non tornare come sei partito, ma tornare diverso”… Questa regola l'hai sicuramente osservata: diverso e migliore. Gigante dentro. Nuovo coach...

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