sabato 26 dicembre 2015
La sindrome di Dart Fener (Star Wars) Dicembre 2015
Dall'E-mail dell'OrkoMekkaniko agli Orchi
Terrorista sarà lei!
Ovvero La sindrome di Dart Fener
I puristi, o forse si dovrebbero ormai definire cultisti, dato l'immenso battage pubblicitario che ha accompagnato la recentissima uscita nelle sale cinematografiche dell'ennesimo capitolo della saga fantascientifica più celebre del pianeta, mi perdoneranno la licenza di aver adoperato il nome “spurio” (in originale Darth Vader), nato da una traduzione un po' semplicistica e in odore di censura ancor zelante, del personaggio più famoso, odiato ed amato, tra i protagonisti di quella storia iniziata tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...
Mi dovranno perdonare, perchè quello è il nome con cui ho conosciuto ed ho imparato a identificare, con le parole e la pronuncia ancora un po' incerte di chi ha appena cominciato ad esprimersi e ad avere rapporti col mondo al di fuori della propria cameretta di bambino (nel 1977, anno di uscita del primo, ora quarto, episodio della saga, il sottoscritto aveva tre anni), quel gigante ammantato di nero, personificazione delle tenebre, della malvagità e della totale assenza del suo contrario.
Quando ancora eravamo abbastanza ingenui da poterlo fare, avevamo dato un volto al male che da sempre l'uomo teme: emulo di un teschio umano, coperto da un elmetto sinistramente simile a quello delle truppe tedesche delle, allora ancor presenti nel ricordo dei vivi, tragiche due Guerre Mondiali. Al posto delle orbite vuote tipiche della Nera Mietitrice, il geniale costume designer aveva posto due lenti scure ed asettiche, simili agli inespressivi bulbi oculari dei tanto temuti squali, tra i pochi predatori della specie Sapiens (?) di cui facciamo parte. Ma il vero colpo di genio, chiunque abbia creato questo personaggio, lo ha avuto nel dargli quell' inquietante e incessante suono di sottofondo: quello di una macchina per la respirazione artificiale, fredda ed inumana, ancestrale paura che ci accompagna sempre, perchè spesso foriera di lutto, ultimo tra i suoni uditi da chi lascia questo mondo nel letto di un ospedale.
Per completare il tutto, quale migliore colore se non quello che per la maggior parte del genere umano rappresenta il cordoglio, la paura, il vuoto, l'impietosa assenza di luce e di qualsivoglia altro colore?
Coi miei occhi di bambino, guardando quel personaggio, ho visto per la prima volta comparire davanti a me il babau, l'uomo nero, il cattivo per antonomasia...e non sono mai più stato lo stesso.
Lungi allora dall'esser stato ancor edotto della concreta malvagità umana dei campi di sterminio, delle pulizie etniche, degli anni di piombo e quant'altro, le mie identificazioni del male si limitavano all'arcigna strega di Biancaneve, agli inumani alieni invasori di Vega e ai vari scienziati folli o tiranni di civiltà ostili che popolavano le storie dei miei eroi preferiti dei cartoni animati. Ma mai avrei potuto immaginare una figura tanto carica di negatività, di male puro, da poter soffocare le sue vittime a distanza col solo pensiero: una perfetta commistione tra un cavaliere nero da Chanson de Geste e necromante dai poteri demoniaci...Modred e Morgana, indissolubilmente uniti in un solo essere.
Il mio giovanissimo cervello non aveva ancor avuto abbastanza input da poter gestire quella figura, troppo astratta per ciò che rappresentava e allo stesso tempo concreta, in quanto performata da un attore umano e non da un disegno in movimento: ne avevo molta paura, ma allo stesso tempo, come tutti gli esseri umani, ne ero affascinato, tanto da ricordarmi di quel personaggio più facilmente di tutti gli altri della saga.
Quella figura nera assunse presto una connotazione diversa, quando si rivelò esser padre del giovane eroe protagonista della storia: verità shock per i semplici sentimenti di un bambino che guarda ai genitori come pilastri incrollabili ed infallibili della propria esistenza... come può esser padre un simile demonio? Non avevo ancor finito di elaborare quella agghiacciante notizia, quando arrivò l'ultima spinta demolitrice alle mie esili, ingenue certezze.
Nell'ultimo capitolo di quella storia, proprio quel demonio, senza mai smettere d'essere tale, rivela una stupefacente scintilla d'umanità, compiendo un gesto in extremis e sacrificando la sua vita per salvare quella del suo erede in pericolo. Un demonio...o un padre? Non ero ancor cresciuto abbastanza, all'epoca, per potermi fare profonde domande esistenzialiste, sul bene o sul male, sul libero arbitrio ed altre questioni filosofiche. Una sola cosa avevo capito, coi mie occhi e col mio semplice cervellino (dopotutto non avevo ancor compiuto i 10 anni di età...): quando quel demonio, prima di morire, si era tolto quella maschera nera, suo vessillo e sua condanna, aveva rivelato un volto sfigurato dalla guerra e dalle sofferenze, in cui brillavano gli occhi gentili di un semplice, comunissimo uomo anziano.
Cicatrici a parte...gli occhi di mio nonno.
Per tutto quel tempo avevo tanto temuto inutilmente quella maschera, dato che serviva a nascondere molto bene una figura che non c'è bambino che non abbia mai amato tanto.
Se già allora fossi stato adulto, probabilmente mi sarei dato del coglione.
Avevo fatto il mio primo passo per capire un assunto fondamentale: a prescindere dall'età, dall'estrazione sociale, dall'etnia e dalla cultura, a noi esseri umani viene piuttosto facile esser presi per i fondelli.
Non ci vuol molto a farci vedere la maschera tenebrosa, il male incarnato, la paura dell'Uomo Nero (quest'ultimo, anche in senso letterale).
Non servono poteri necromantici per farci temere chiunque sia diverso nell'aspetto, nelle abitudini, nel modo di pensare e di esprimersi, da ciò che noi abbiamo posto come inoppugnabile assoluto di normalità e pertanto di accettabilità, umana e sociale.
Nel bene e nel male, ognuno di noi ama autodefinirsi unico ed irripetibile, ma odia sentirsi diverso.
Lungi dall'aver assimilato gli ideali di fratellanza universale tipici del mio credo religioso, mi trovo ora adulto, almeno nel corpo, ad affrontare la stessa paura dell'Uomo Nero che avevo ai tempi in cui temevo quel gigante ammantato di tenebre: paura di chi è diverso da me in tutto tranne nel fatto di essere umano.
Quella paura che noi adulti disillusi abbiam imparato a chiamar terrorismo, di qualsiasi tipo esso sia, instillato non coll'esplosivo e coi proiettili (certo, anche quelli aiutano, a metter paura), ma con lo stesso lavoro che nel lontano 1977 fece quel character designer nell'atto di concepire l'aspetto di Dart Fener: attingendo a ciò che ci portiam dietro e, soprattutto, dentro, sin dai tempi in cui abbiam cominciato ad esser Sapiens (?).
Ora che le nostre certezze di uomini civili e morigerati cadono come fragili castelli di carte, ci scopriamo ad aver sempre più spesso paura dei nostri simili, in una spaventosa ripetizione di ciò che per 1000 anni ha oppresso l'umanità (almeno nel civile Occidente) in quell'epoca che definiamo sbrigativamente Secoli Bui. Allora era il nostro stesso Creatore a terrorizzarci, con le sue punizioni esemplari, il suo Diluvio Universale e il Mille e non più Mille...ora temiamo I califfati, le migrazioni, le colonizzazioni e le malattie importate (l'elenco è troppo lungo, meglio limitarsi agli esempi).
A ben vedere, sono ben più di uno solo, i demoni oscuri che infestano i nostri sogni, i Signori dei Sith, che ci tocca affrontare quotidianamente: il primo fra tutti lo vediamo appena ci specchiamo.
E' sulla nostra faccia che vedo riflessa quella maschera spettrale, quegli occhi inespressivi da predatore delle profondità abissali: facce incattivite dalle stesse paure che ci ossessionano, dalla vita fuori misura da tempi umani, dall'angoscia esistenziale autoindotta e dalla smisurata brama di aver sempre di più (la crescità economica si chiama così non a caso).
Sono tanti i Dart Fener che incontro sulla mia strada, (anche se coloro che frequento, li vedo più come dei pazzi, eroici Don Chisciotte, ed è per questo che avranno sempre tutto il mio affetto), anche se non indossano mantelli neri: ma poichè non dispongo di poteri mistici e spade laser per poterli affrontare, ho imparato a cercare in loro quel nonno che vidi in quegli anni lontani, sotto alla maschera da demonio cibernetico.
Non è così facile scalfire la lucida superficie oscura di quella maschera, penetrando attraverso la spessa corazza di cinismo di cui ci siam fatti usbergo, eppure il risultato vale lo sforzo: quella che sembra talvolta un'impresa titanica può sorprenderci con incommensurabile soddisfazione e farci dimenticare, almeno ogni tanto, quell'Uomo Nero che ci segue dappresso.
Personalmente sono tuttora un ricettacolo di perniciose nevrosi ed insicurezze, eppure il mio Dart Fener penso di averlo abbandonato in un'angolo di strada non lontano dalla mia abitazione, quando, poco tempo fa ho incrociato rincasando un trio apparentemente comunissimo di esseri umani, ma dall'inconsapevole potere di una legione di portentosi Cavalieri Jedi. Un trio di donne appartenenti a tre generazioni differenti: una giovane mamma e una nonna che tenevano per mano fra di loro una piccola che non avrà potuto avere più di quattro o cinque anni, divertendosi a sollevarla e a farla saltellare tra loro, tra piccoli schiamazzi e risolini d'argento. Una scena dolcissima e comunissima in tempo di pace, senza nulla di straordinario, se non che avvicinandomi per passare oltre ho finalmente scorto (ci vedo poco, se ancora non l'avete capito...) un elemento dapprima sfuggitomi: la mamma e la nonna portavano il foulard sul capo, tipico delle donne di fede musulmana, sebbene la bimba avesse tutta l'aria di esser nata nel nostro paese. Eccolo lì, l'Uomo Nero: ciò che mi hanno imposto di temere e rifuggire... il diverso, ma da chi, poi?
Sebbene non sia un noto cuor di leone, per una volta ho deciso di non dar ascolto alle voci negative e mi sono fermato ad osservarle sorridendo mentre si allontanavano, augurandomi di rivederle ancora, magari tra tanto tempo, come un promemoria, un memento. Mi piacerebbe incontrare di nuovo quell'adorabile piccolina, magari tra 20 anni, in un locale qualsiasi: quando sarò diventato un vecchio come tanti, magari immalinconito dalla solitudine o immusonito dalle troppe sconfitte e lei una donna adulta e magari mi avrà sentito berciare, commentando l'ennesimo fatto di violenza attribuito ad una presunta guerra di religione, che gli stranieri sono tutti terroristi. Il mio io di adesso vorrebbe allora che lei mi apostrofasse, magari con una sfumatura di accento torinese, se per allora non sarà già estinto, con le veementi parole:
“Ma terrorista sarà lei!”
Penso che se succedesse, sarebbe un po' come rinascere in quel momento, tornando a quel momento in cui vidi Dart Fener, il mio Uomo Nero, togliersi quella maschera di tenebra, mostrando di avere sotto di essa gli occhi di un vecchio gentile.
Dal giorno di quell'incontro, credo di aver capito di non dover temere più il nero Signore dei Sith, qualunque sia il suo aspetto, ma lo stuolo di infidi Imperatori (per citare un paragone attinente alla saga) che tramano dietro di lui, creando paura dove non dovrebbe esistere.
Ho dato un appuntamento a quella bambina: ci rivediamo nel futuro, facciamo in modo che sia bello viverci.
Qualunque sia, il futuro che ci aspetta, in ogni caso auguro a me e a tutti voi, almeno una volta nella vita, di toglierci quella maschera di tenebre che da troppo tempo ci siam abituati a portare ed a mostrare che sotto di essa brillano ancora, quegli occhi buoni di nonno.
Buone Feste da Stefano
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« La Forza è con te, giovane Skywalker, ma tu non sei ancora un Jedi. » Darth Vader a suo figlio Luke Skywalker...
RispondiEliminaGran bel racconto Stefano. Qualunque sia il futuro che ci aspetta (come dici tu), soltanto togliendoci la maschera della paura abbiamo qualche possibilità di riequilibrare la Forza, diventare cavalieri Jedi, difensori della pace e della giustizia. A presto!