Dalle considerazioni dell'OrkoMekkaniko
Up From The Ashes. Ovvero, la Pasqua in tasca
Rassegnatevi, ci ho preso gusto: ad ogni festa uno dei miei sproloqui, o, se preferite, deliri... fidando che, alla peggio, non facciano male a nessuno (alla neuro mi hanno catalogato come innocuo...forse hanno dato un'occhiata alle cartelle col profilo psicologico di quelli cui abbiam dato la guida del nostro paese: con quelli io non son neanche in gara).
Un'altra primavera, per molti sinonimo di un altro anno passato, di età che avanza, con tutte le implicazioni negative sottese, per altri l'arrivo dell'ennesimo calvario di scadenze fiscali, per altri ancora l'inizio della stagione dei monsoni locali o degli starnuti a raffica da allergie sempre più diffuse, invasive, proterve (ma, fateci caso, è sempre colpa del fenomeno millenario della pollinazione fitotropica, l'inquinamento che ci asfalta I polmoni ne esce sempre con la fedina immacolata, un po' come I soliti noti di cui sopra).
Personalmente, sebbene per ora scampato alle allergie, ma vittima di tutti gli altri elementi negativi succitati e , ahimè, sebbene non così ferrato nel lessico da definirmi un letterato, preferisco adoperare per questa stagione la metafora di un accadimento occorsomi ormai qualche anno fa, in occasione di una passeggiata in solitaria all'arrivo del disgelo, alla volta di un rifugio al limitare dei boschi di conifere, approssimativamente a metà della valle, luogo descrittomi come ameno e rilassante, per nulla faticoso da raggiungere.
Essendo in tal periodo particolarmente teso per le sorti altalenanti della mia di allora attività commerciale, ho colto l'occasione per riallacciare gli scarponi e rimetter lo zaino in spalla: dopotutto, una facile escursione che male avrebbe potuto arrecarmi?
Male no, ma di sicuro, quello tornato da quel giro, non fu mai più lo stesso ch'era partito il mattino.
Affrontando il sentiero, dolce pendio tra le fronde, appena intiepidito da un sole gentile, pur pascendomi della piacevolezza di tragitto ed ambiente, ho continuato a rimuginare cupi presagi, avvelenato dalla scarsezza di prospettive, sentendomi vecchio, fallito, stanco, privo di futuro... fino a quell'ultima, fatidica curva.
Superando un piccolo, placido ruscello gorgogliante di acque limpide, ai loro primi passi dal ventre materno dei nevai invernali e subito dopo sbucando da una macchia di maestosi alberi, carichi di gemme e di promesse di stagioni di rigoglio, mi sono ritrovato all'improvviso catapultato in un'altra dimensione. Il rifugio c'era, certo, solido edificio di pietra e legno, spartiacque artificiale tra la fresca oscurità delle fronde boschive e la calda luminosità dei prati degli alpeggi circostanti: quello che non mi aspettavo era tutto il resto.
Bambini, dappertutto, quasi a perdita d'occhio. Girotondi, rincorse, schiamazzi, capriole, cavalline, seduti sulle spalle dei papà o in grembo alle mamme, I più piccoli non arrivavano all'altezza delle mie ginocchia (come ben sapete, non gioco titolare nell'NBA...), eppure sembravan essersi dati appuntamento tutti lì e lo stesso giorno, per correre a perdifiato, giocare e ridere, sotto lo sguardo felice dei loro genitori e quello attento e bonario di alcuni grossi cani da pastore, rimasti al limitare del bosco, a guardia di quel gregge così diverso, caotico, colorato.
Subito dopo essermi quasi tumefatto una mano a suon di pizzicotti, per accertarmi di non esser finito in una dimensione onirica alla vista di quello spettacolo, ho incontrato per un istante lo sguardo di un giovane padre con in braccio la figlioletta di pochi anni.
Non sono di sicuro rinomato per la vista e l'acume d'aquila, eppure in quel momento ho capito.
Ho compreso di esser capitato, mio malgrado, nell'occhio del ciclone: il centro della tempesta, dove tutto è sorprendentemente calmo.
Il centro di tutto il resto del mondo.
Per quell'istante, incredibilmente lungo e dolce, mi sono sentito come un crononauta che, appena sceso dalla sua Delorean ancora fumante per il viaggio nel futuro (vogliate perdonare la grossolana citazione Holliwoodiana), si fosse dato un'occhiata intorno sorridendo e avesse pensato: “E' tutto a posto, posso tornare tranquillo al mio tempo...”
Ho assaporato ancora il più possibile quel momento: quella vista di colori vivaci in movimento, appena sfumati dalle tonalità della Natura al suo risveglio, quei suoni argentini e caldi, che rimbalzavano per tutta l'aria come I richiami delle rondini in città, con la benevola complicità dell'eco delle circostanti vette millenarie e il profumo dolce delle foglie novelle, del tanto vituperato polline e del talco, immancabile accessorio dell'infanzia.
Me ne sono andato subito dopo, reggendo le gambe tremanti con l'aiuto del bastone da trekking, troppo sgomento per quel che avevo provato.
Il Vento di Primavera.
L'immenso, inarrestabile potere dell'Innocenza.
Lo stesso immenso potere che siamo sempre più ansiosi di perdere.
Me ne sono andato perchè mi sono sentito un agente inquinante in un lago di alta montagna, uno sciacallo in un gregge, un peccatore tra I santi.
Prima di imboccare il sentiero del ritorno, però, ho fatto in tempo a sentirlo. Quel suono.
Qualcosa che non veniva da quelle piccole gole: non un risolino, nè l'abbaiare di un cane, nè il richiamo di un genitore.
Qualcosa che veniva dal Mondo, quello con la lettera maiuscola.
L'ho sentito ridere.
A metà tra il fruscio della brezza tra le fronde ed un tuono lontano tra le rocce, ma perfettamente intelleggibile come una profonda risata.
La risata di un grande nonno bonario, che assiste non visto ai nipotini che si accingono a far una marachella, sentendosi per un piacevole istante ancora una volta della loro stessa età.
Chi mi conosce bene sa che, sotto l'aspetto da giullare strafatto di allucinogeni, nascondo un'indole piuttosto controllata, ai limiti del monachesimo: con autocontrollo tutto sabaudo, il mio ego raziocinante (o quel poco che ne rimane) sguinzaglia squadre di spietati Vopos neuronali a reprimere all'insorgere ogni manifestazione trasgressiva... guai a cosa potrebbero pensare gli altri! Proprio per questo sono stato sempre lontano da qualsivoglia agente destabilizzante in tal senso, dagli alcolici alle sostanze psicotrope, vita natural durante.
Eppure ancora adesso, son convinto di ciò che ho sentito, allora.
E me lo ricorderò sempre, vita natural durante.
L'ho salvato lì, da qualche parte, in questo hard disk che mi porto dentro dal mio primo giorno, ormai strapieno di Spam e con le chiavi di lettura un po' malandate, simile ad una presa USB di troppi anni fa che cerca di collegarsi ad un hardware di ultima generazione.
L'ho salvato e lo riporto alla luce ogni volta che mi serve, perchè a differenza di tutti gli altri, sempre più sbiaditi ricordi è sempre lì, come fosse ieri, vivido e pieno di energia. La stessa che mi ha trasmesso quel giorno, quando mi ha suggerito che non tutto era perduto e mi ha ricaricato di forza bastante per tutto il tempo (persino il mio cellulare, da tempo immemore vecchio, stanco e scassato, quel giorno, in quanto a carica, avrebbe surclassato uno smartphone nuovo fiammante), vita natural durante.
Da allora, oltre a considerarmi molto fortunato, ho capito perchè si festeggi la Pasqua in Primavera.
Per chi ci crede, al di là di tutta la retorica dolciaria e commerciale, Pasqua significa Resurrezione.
Per chi è sensibile alle stagioni, (anche quando queste non ci sono più) Primavera significa Rinascita.
Per me, che sono solo un gretto commerciante, abituato a considerare il Dare & Avere, significa Risarcimento.
Risarcimento da tutto quel che I nostri simili sono capaci di farci sopportare, più o meno volontariamente, pur di tirare a campare più e meglio di noi, vita natural durante.
Risarcimento per tutte le volte che quel cliente/capufficio (oggi si chiaman Project Manager, anche se magari a volte si esprimono con lessico sgrammaticato)/burocrate/o qualsivoglia altro turpe personaggio (continuare l'elenco a piacere...) ci ha costretto a salire il nostro personale Golgota, o la vita (che turpe non'è: è semplicemente la vita) ci ha appioppato una carrettata di croci (nella Storia è noto solamente un fortunello ch'è stato costretto a portarne una sola, ma si sa: lui era il figlio del Capo...) da trascinarci appresso, naturalmente sempre in salita , vita natural durante.
Ho imparato allora ad adoperare quel ricordo come antidoto a tutti I veleni che assorbo quotidianamente e da allora mi piace sperare che ogni individuo di questo Mondo si porti dietro un momento tanto prezioso, da utilizzare allo stesso modo nel momento del bisogno: sono ragionevolmente certo che ognuno ne possieda almeno uno, anche se magari non così fuori dai normali canoni, si tratta solo di trovarlo, da qualche parte, lì dentro.
Prima di diventare solo più un consumatore, una statistica commerciale, o peggio, un titolo di cronaca nera, vita natural durante.
Prima di vedere questo Mondo attraverso la lente deformante della depressione, vita natural durante.
Prima di cedere alla disperazione quel poco di umanità che ci rimane e diventare uno di quelli che organizzan passeggiate sul Golgota, per noi stessi e per gli altri, vita natural durante.
In fondo, non è un grande impegno cercare un bel ricordo (meglio ancora sarebbe crearne uno nuovo, magari pure questo anche per gli altri) da usare come scudo impenetrabile alle sferzate della vita, una sorta di Pasqua tascabile, non limitata ad un solo giorno all'anno, per farci risorgere dalle ceneri come Araba Fenice quando ci si credeva sconfitti, in modo da guardare Il nostro aguzzino del momento con piglio alla Leonida (già che siam in tema di citazioni del cinema) e apostrofarlo con le parole “Tutto qui, quel che sai fare?”
Forse sarà quello il momento, in cui sentiremo il Mondo ridere, con quella risata, che in fondo, ci portiamo tutti dentro, vita natural durante.
Buon Risarcimento a tutti
da Stefano
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