sabato 30 marzo 2013

Morire di Sport


Editoriale dell'OrcoIng
Si muore per ogni evento e per ogni attività umana. Gli incidenti sono insiti in tutte le attività sportive e a maggior ragione in queste particolarmente esposte a eventi atmosferici avversi.
Sappiamo perfettamente che la visita medica  sportiva ha una certa  valenza per individuare patologie  , soprattutto cardiologiche,  non certo infarto o semplicemente la predisposizione ad esso. Riteniamo comunque che essa sia necessaria, anche se ci sarebbe molto da dire  su troppe pseudo visite, che come tutto ormai in Italia, rincorrono il falso mito del  Low cost.
Abbiamo così quietato la coscienza e soprattutto la responsabilità oggettiva degli Organizzatori.
Ma il movimento trail in Italia sta assumendo  anno dopo anno  dimensioni imponenti  e di conseguenza incontrollabili.
Anni fà un trail di 42 km in montagna era semplicemente inimmaginabile, riservato ad una elite ristrettissima di atleti o di fachiri.
Sempre più concorrenti, non atleti, si cimentano con le lunghe distanze, gli organizzatori fanno a gara  ad allungare a dismisura i percorsi, a renderli sempre più accidentati, dislivelli imponenti oltre i 2000 metri, sentieri talvolta appena tracciati, si corre con qualsiasi condizione climatica, di notte e di giorno, sulla sabbia  e lungo il mare,  nella neve e sotto la neve,sulle dune del deserto, in Himalaya o in Tibet, nell’Atlante del Marocco o nel Parco del Mercantour, a spasso nel Monte Bianco o in Dolomiti, o più prosaicamente  in Val Pellice dove però è necessario fare almeno 55 k.
Ma chi sono i partecipanti?
Basta andare a vedere in certe gare, tanto per mettere il dito nella piaga o comunque anche nei trail medio lunghi.
Almeno la metà sono concorrenti che non hanno nessuna conoscenza della montagna, non hanno esperienze alpinistiche, non  si sono mai confrontate con una tormenta di neve, patito il vero freddo  delle cime delle nostre Alpi, di inverno e d’estate, smarrito il sentiero nella nebbia o nella neve o semplicemente combattuto con le proprie energie per arrivare su una punta.
Il trail nell’accezione moderna che vediamo,sta  sempre più diventando un surrogato dolciastro della montagna, stiamo cercando di addomesticare la montagna ed i suoi percorsi, trasponendolo in una sorta di  Sky Dome a temperatura e ambiente controllato. Ma il piacere e la voglia di correre in montagna quella vera, ci fa ricercare percorsi aerei, montagne mozzafiato, panorami grandiosi.
Pretendiamo  quindi che i sentieri siano puliti, senza ostacoli  evidenti, che siano ben segnati e tracciati, che ci sia un servizio di ordine e controllo capillare ed efficiente, che i ristori siano frequenti, ricchi di  bevande calde, pretendiamo di trovare sui colli sempre del personale di soccorso.
Ma tutto ciò è appannaggio necessariamente delle gare più importanti e quindi più sponsorizzate, dove il soccorso alpino è efficientissimo.
Oltre a queste poche eccezioni si stanno riversando sul mercato nostrano  una incredibile offerta di percorsi, dove però gli organizzatori non sono assolutamente in grado di garantire un servizio efficiente e capillare e contemporaneamente i partecipanti ,nella stragrande maggioranza ,arrivano come in un  crescendo dalla strada, dai cross e da qualche  tapasciata  appenninica.
Beh, se ho fatto una corsa collinare da 25 km posso sicuramente passare ai grandi trail  da 40 km e oltre
Si  comprende benissimo che tutto ciò è puramente utopistico.
In certe gare almeno la metà non hanno la preparazione idonea, e non sono abbastanza attrezzati e soprattutto non pronti psicologicamente  a combattere con le avversità. La scarsità di preparazione  atletica determina  una caduta precoce della resistenza fisica e delle  riserve energetiche intrinseche. E l’ipotermia in tali condizioni ne diventa il corollario.
Insomma il buon senso e la esperienza, come in tutte le attività sportive, ci consiglia di stare  abbondantemente sotto i nostri limiti. Solo così si riescono a superare le avversità naturali  o climatiche  con una riserva di energie fisiche e mentali tali da farci uscire  velocemente dalle difficoltà.
Ecco che allora una autodiagnosi del concorrente si rende necessaria ma non sufficiente. Chi fà una 42 k deve  essere accreditato di una serie di esperienze similari dimostrate in fase di iscrizione.
Certo che questo diventerebbe un freno e un grosso limite  per tutti gli organizzatori, ma creerebbe un sistema virtuoso di limitazione delle gare, eliminerebbe buona parte di organizzatori improvvisati e soprattutto sarebbe un percorso di crescita per tutti i partecipanti.  E poi vale sempre il motto che chi partecipa ad un trail deve avere partecipato anche da volontario alla organizzazione di qualche gara (vedi gara U.S.A Western State)
Corriamo con la testa, la preparazione e soprattutto l’umiltà, meglio fermarsi o non partire proprio se riteniamo che sia aldilà delle nostre possibilità.

W GLI ORCHI




2 commenti:

  1. Da appassionato e (ahimè) da tempo frequentatore delle montagne sottoscrivo ogni singola parola.
    Le tue riflessioni mi hanno anche confortato nella scelta di iniziare a correre per le montagne con le "corte" con dislivelli e quote limitati...ma li conta anche la mia tapascionaggine!
    Auguri di Buona pasqua a tutti gli Orchi
    OrcoDavid

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  2. Bella analisi. Il fatto che si corra una gara "organizzata" può far credere anche solo inconsciamente di essere "comunque protetti". Invece serve tanta autoanalisi, consapevolezza, conoscenza tecnica (ambiente, meteorologia, ) e umiltà. Insomma esperienza. Senza dimenticare comunque un pizzico di buona sorte. Anche solo un appoggio che scivola, su di un banale sentiero, può avere conseguenze disastrose. Bisogna saper valutare i rischi e decidere fino a che punto correrli, accettandoli.

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