mercoledì 28 ottobre 2020

Hard Trek Selvaggio Blu - Baunei(Nu) 17-24 Ottobre 2020

 


Foto Selvaggio Blu 2020

Dal racconto dell'OgreDoctor

Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta…eravamo felici.

Con questo incipit tratto da Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni, iniziamo il racconto della nostra breve, ma intensa esperienza in terra sarda.

Che cos’è il Selvaggio Blu?

È un itinerario unico nel suo genere, che si snoda fra il Supramonte di Baunei, un piccolo paese del nuorese e il mare, ideato dagli alpinisti Verin e Cicalò negli anni ’80.

Nella sua formula originale durava 4 giorni e prevedeva, come ci ha raccontato Antonio Cabras, della Cooperativa Goloritzè, una vita ancora più spartana. Ora viene proposto in due versioni che seguono il percorso originale, ma che durano 5 o 6 giorni. Possiamo garantirvi, che anche nella forma più addomesticata, questo trekking, risulta assai faticoso e mette a dura prova la resistenza fisica e psichica dei partecipanti.

Per far il nostro giro ci siamo affidati alla Cooperativa Goloritzè, una delle due associazioni locali rimaste operative, che accompagnano gli escursionisti lungo il percorso e che gestiscono la logistica. Percorrere il tracciato in autonomia è, sì fattibile, ma diventa proibitivo, sia per la quantità di materiale da portarsi sulla groppa (tenda, sacco a pelo, materassino, materiale alpinistico, viveri), sia per la quasi totale mancanza di acqua lungo il percorso.

Siamo stati condotti lungo i sentieri invisibili dei pastori, le scale di tronchi di ginepro a strapiombo sul mare, falesie, rocce spettacolari, antichi ovili, boschi di lecci secolari, macchia mediterranea, spiagge bianche e cale incontaminate, da Marco, la nostra guida escursionistica, molto preparato sulla storia della sua, della mia terra e sulle tradizioni che in parte ci accomunano. La Sardegna è un’unica isola, al cui interno però le differenze nel dialetto, nelle usanze e anche nel cibo sono, a volte, molto marcate.

Sin dal primo giorno, muovendo i nostri passi da Pedra Longa, ci siamo subito resi conto che non avremmo passeggiato, pur sapendo, che questa nostra prima tappa non conteneva nella sostanza, difficoltà di tipo alpinistico. Il terreno è, infatti, molto impervio, difficile, costellato di pietre grigie calcaree, aguzze e taglienti, quasi che un dio malvagio si sia divertito a sparpagliarle in ogni dove, in questo lembo di terra.

Il tempo alla partenza è soleggiato e ci concediamo una breve sosta in una caletta per un tuffo in un’acqua cristallina.

Riguadagnato il dislivello perso per arrivare al mare, si sale fino alla Cengia Giradili, da dove lo sguardo spazia lungo tutta la costa e dalla parte opposta, all’interno, verso le montagne del Gennargentu. Il tempo cambia. Siamo nel regno del vento e le nuvole corrono veloci, ambasciatrici della pioggia che non tarda ad arrivare. Dopo il 4 leccio secolare, (sistema cartografico sardo!) si arriva al primo campo, sito presso l’ovile di Gennirco. E sì le indicazioni sono rami di ginepro sapientemente disposti a terra, pietre messe sugli alberi, lecci secolari, perché di segni sul sentiero, fatta eccezione per gli originali segni blu, rimarcati, di recente, da una guida tedesca, che i locali sembra aspettino che si sbiadiscano e scompaiono, nemmeno l’ombra.

Montato il campo, svestiti i panni sudati e umidi, abbiamo subito un assaggio di quelle che saranno le nostre cene. Per la prima sera abbiamo i cululzones (ravioli di magro) con un ragù di capra e pecora arrostita, il tutto accompagnato dalla onnipresente carta da musica, il pane dei pastori, il carasau, anche nella sua versione guttiau (gocciolato) e dal vino Cannonau, di colore rosso rubino, inebriante, normalmente invecchiato da due a sei anni e con una gradazione alcolica mai inferiore a 12,5 per cento. Un vino morbido e robusto, che si accosta perfettamente ai sapori forti della cucina isolana, alla cacciagione, agli arrosti di carne, ai formaggi come il pecorino e il caprino. Si dice che il cannonau, sia un vero e proprio elisir di lunga vita, che contiene il triplo di anti-ossidanti di altri vini rossi e garantisce benefici al sistema cardiovascolare quasi dieci volte superiori rispetto alle altre varietà di vino presenti nel mercato e contribuisca alla famosa longevità degli isolani. A pasto ultimato manco a dirlo, mirto, artigianale, come se piovesse.

Notte parzialmente insonne, la prima; forse la colonna vertebrale diversamente giovane deve abituarsi al terreno duro, anche se parzialmente mitigato dal materassino. Ci faremo l’abitudine e alla fine dopo cinque notti all’addiaccio, il letto del Rifugio del Golgo ci è sembrato persino troppo morbido e troppo comodo.

Alle 7.00 del mattino, si smonta il campo e alle 8.00 puntuali come un orologio svizzero arriva la Land Rover Defender con le colazioni.

Colazione a base di marmellata d’arancio, ricotta di capra, miele, torta fatta in casa, latte, the e caffe, per prepararsi alla giornata di cammino che ci aspetta.

In tutta la settimana cibi confezionati sono rappresentati da una mozzarella e una scatoletta di tonno; tutto il resto cibo fresco a chilometro zero.

Ritirato il pranzo al sacco (pane, formaggio, salsiccia, pomodoro, cetriolo e frutta di stagione), carichiamo i bagagli pesanti sul fuoristrada e siamo pronti per la tappa successiva.

Supramonte e dintorni risuonano del nostro mantra: “Battu u belin in sci scheggi”, che tradotto dal genovese significa “non potrebbe fregarmene di meno”. A proposito di genovesi, ma Roberto e Mauro, saranno davvero fratelli?!

Giorno dopo giorno la nostra avventura impegnativa procede lungo un’affascinante percorso di 36 chilometri fatto di sentieri impervi dal fondo sconnesso, traversi su roccia, arrampicate e calate in corda, immersi nei colori di una natura mozzafiato, il grigio del calcare, il verde della macchia mediterranea, il profondo blu del mare, il bianco delle spiagge.

È stato un viaggio emozionante e faticoso, di cui ognuno di noi serberà un ricordo indelebile.

Il gruppo residuo di 8 persone, dalle originarie 14, falciato dal Covid-19, si è progressivamente amalgamato; la settimana è trascorsa senza screzi, senza diverbi, senza incidenti. Le tanto temute manovre di corda e arrampicate, nei tratti alpinisticamente più impegnativi, sotto l’occhio attento di Carlo, sono passate senza problemi e anche i meno esperti, si sono diverti nel scendere, forse in maniera non proprio ortodossa, ma alla fine consapevoli di non rischiare nulla.

Con il senno di poi, credo che un gruppo di 14 elementi sarebbe stato difficile da gestire, soprattutto per le calate in corda doppia, che avrebbero richiesto parecchio tempo, facendoci arrivare alla fine delle tappe sempre un po’ in affanno. Capendo meglio cosa significa “Selvaggio blu”, qualche uscita in più su terreno scosceso e esposto, dove è necessaria concentrazione e piede fermo, non sarebbe stata una scelta sbagliata.

Avevamo pianificato questo viaggio prima del mio incidente, sospeso e poi ancora rimandato per l’emergenza Covid-19. Siamo partiti con tanti dubbi, con un tampone molecolare per fugare ogni remora, lasciando a casa, purtroppo, tanti di noi.

Alla fine abbiamo fatto bene a partire, io ad insistere perché si partisse.

Sono felice di essere riuscito ad arrivare in fondo e fare il bagno a Cala di Sisine, anche se ho dovuto rinunciare ad una mezza tappa, per un fortissimo mal di stomaco durante la seconda notte in tenda. Non era scontato. Camminare su questo terreno è stata una sofferenza continua, arrivare a sera, togliere il tutore, guardare la caviglia tumefatta, senza sapere se il giorno dopo sarei riuscito a camminare, anche.

La bellezza del luogo, la semplicità della gente, la loro ospitalità, la durezza della vita dei pastori e dei carbonai che da questi luoghi hanno saputo trarre il massimo possibile, gli animali allo stato brado, liberi di andare e venire nel loro habitat naturale, il comunismo ante litteram che da sempre appartiene a questa gente, sono alcune delle emozioni forti che mi porto a casa.

Chiudo con l’ultima immagine di noi 8, sotto un immenso campo stellato, con la via lattea disegnata sulla volta celeste e Marco, la nostra guida, che disegna con un fascio di luce le costellazioni.



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