Edizione 2016 (OrcoSmigol)
Edizione 2014 (OrcoPolare)
Dal racconto dell'OrcoSmigol

Arrivando una settimana prima della maratona abbiamo il vantaggio di smaltire molto bene il jet-lag ma abbiamo il problema di gestire l’alimentazione , gli ultimi allenamenti e “conservare” le gambe.
Central park già il lunedì é in fermento con gru, montatori di spalti, transenne e runners locali che percorrono i viali; il vero spettacolo inizia il venerdì con lo sbarco dei runners stranieri che letteralmente invadono chiassosi il parco ad ogni ora.
L’Expo apre il giovedì mattina e arrivo per primo al banco del ritiro pettorali
Che soddisfazione con tanto di applausi dei volontari!
Vengo contattato da un giornalista italiano che vuole scrivere un articolo e rilascio un intervista telefonica.
Contatto un mio compagno di squadra OrcoDelleNevi e decidiamo di trovarci al village.

Si inizia con sveglia alle quattro e delle belle ripetute in sala breakfast per accaparrarsi pane e marmellate assaltate da runners italiani che gridano, si abbuffano , sparano numeri sul passo da tenere , tempo finale , Pacers , qualcuno vuole farsi fare da pacer dalla Dossena, qualcuno spara che la Flanagan ha delle discendenze italiane : uno zio pugliese amico del fratello del cugino di quello che mangia a fianco a me e io SEMPRE MUTO e rosicchio quattro fette sfigate di pane con pseudo marmellata. Il gregge sale sul bus e il sottoscritto sfigato ma newyorker prende la metro per 20' poi il ferry boat con alba splendida , il bus e dopo i controlli e le perquisizioni va a piedi verso il village, poi la wave, in ultimo il corral ; mi sono già fatto mezza giornata, devo rimangiare e ingurgito mezzo bagel ( lo scorso anno ha funzionato!) e mi regalano il cappellino rosa arancio della dunky donuts.
Fa freddo , pioviggina e tappa bagno strategica a 10' dalla chiusura del corral.
Dopo mezz’ora la fiumana è diretta ai piedi del Verrazzano con aria che sferza a mille.
Essendo nel primo blocco assisto a tutta la cerimonia d’inizio dei PRO con tanto di colpi di cannone , inno americano e brividi di freddo e di emozione, ormai ho abbandonato il caldo felpone e sono in tenuta da gara con maglia di ordinanza ,


Riguardo l’orologio e continuo a correre , riprendo qualcosa e il passaggio ai 42,195 in 3h17' ma a NY fare 800 metri in più é un attimo e vedo la finish line riconfermando il mio PB 3h20'.
Per un attimo sparisce il problema, le gambe sono leggere , i volontari ti coccolano , la medaglia , ti avvolgono nella metallina , la fermano con l’adesivo, ti danno la safetybag , ti aprono la bottiglia , sei confluito verso l’uscita con braccialetto identificativo post- poncho ed eccolo il poncho , bello caldo con cappucccio , una coccola e mi avvio sulla 75esima dove orcobetta mi viene incontro .
Racconto solo gli ultimi km e foto di rito
via verso la subway ma davanti al magazzino century21 il problema diventa una necessità impellente , devo entrare e le commesse che si complimentano e mi chiedono come è andata, il tifo , il tempo impiegato, After . After my dear i have a big problem ! Sorry ! Restroom sei mio , ma dove sei ? In fondo a dx , noooooo il codice which is ? Please! 9999 , ho un problema due bagni su due sono occupati ma cosa vuoi che sia qlc minuto in più !
Sono sollevato e mi incammino sulla subway trotterellando e scendendo le scale normalmente a differenza di alcuni zombie ( scendono le scale al contrario , ma perché.?!?)
Anche questa è fatta! Sono contento ma testa da runner sempre con qualche dubbio , insoddisfazione , si poteva tirare di più , perché ho mollato sul ponte , sono partito troppo veloce e via discorrendo .
Una vera soddisfazione é i giorni seguenti andare in giro con La medaglia al collo ; sono riuscito ad avere degli sconti grazie alla medaglia che continuo a portare al collo dopo una settimana !
Ah dimenticavo! Il lunedì al breakfast tutti muti e azzoppati e nessuno ha espresso il proprio tempo ; le mogli che andavano avanti e indietro per portare il cibo agli eroi. Orcobetta seduta, servita e riverita mentre saltello da un vassoio all’altro.
Orcobetta ha fatto avanti e indietro i giorni precedenti la maratona conservando le mie stimate gambe! Dietro un modesto runner c’è una grande donna!
Ricordo sempre che siamo Orchi e oltre le gambe c’è di più.
Dal racconto dell'OrcoDelleNevi

Do it right or don't do it at all, questa frase di Ray Charles mi è sempre piaciuta e ho deciso di metterla in pratica nella corsa scegliendo come prima maratona della mia vita la TCS New York City Marathon 2017.
Dopo anni di salite e sentieri l’anno scorso decido che era giunto il momento di confrontarmi con i 42 km e 195 m di asfalto (quasi) pianeggiante della Maratona con la emme maiuscola.
A metà agosto inizio un programma di preparazione con cinque allenamenti a settimana e fin da subito mi rendo conto che l’obbiettivo che mi sono posto – correre la maratona in tre ore e mezza – non sarà per nulla semplice.
Arrivo a New York una settimana prima della maratona con più di 700 km nelle gambe e abbastanza confortato dai risultati della Turin Half Marathon e dei lunghi che ho fatto. Durante la settimana oltre a visitare la città e alcuni amici ne approfitto per fare un po’ di corsette leggere in città.
Inizio con un giro all’alba di Prospect Park a Brooklyn immerso nei fantastici colori dell’autunno.
Proseguo con una quindicina di chilometri sotto la pioggia dal ponte di Brooklyn a Times Square, passando per Battery Park, la Freedom Tower e lungo fiume Hudson dove purtroppo qualche giorno ci sarà il tragico attentato.
A New York torna il sole ed è la volta di Brooklyn Park dal quale si gode una splendida vista su Manatthan.
Il giovedì e il venerdì prima della gara vado fare una sgambatina a Central Park: l’atmosfera è davvero frizzante ci sono vari gruppi di italiani, francesi, spagnoli, svedesi, australiani, sudafricani che si allenano e nel mentre lavorano senza sosta per allestire l’area del traguardo. In mezzo a quel via vai incontro anche un connazionale abitué della maratona di New York (che però quest’anno non correrà).
Il giovedì prima della gara vado a ritirare il pettorale e mi rendo conto dell’imponente macchina organizzativa che sta dietro a una corsa nella quale partecipano più di 50.000 persone. Il ritiro del pettorale e del pacco gara è rapido e ben organizzato i numerosi stand degli sponsor nel Javitis Center sono troppo invitanti e ovviamente esco di li con un paio di borse e il portafoglio alleggerito.
Arriva domenica mattina: sveglia alle 4.45 e ritrovo a Times Square alle 5.40 per prendere il bus che ci porterà a Staten Island. Il viaggio dura più di un ora e giunge il momento dei pensieri negativi che affollano la mente: “ho male ad un ginocchio, forse ho camminato troppo”, “sono stanco, ieri dovevo andare a dormire prima”, “se la finisco in tre ore e quarantacinque è già un miracolo”. Poi finalmente arrivo all’area di partenza e visto che partirò con la prima ‘ondata’ alle 9.50 ho giusto il tempo di fare colazione e una foto con Orco Smigol anche lui ai blocchi di partenza.
8.30 si entra nelle gabbie di partenza, 9.00 le gabbie chiudono, 9.15 ci si spoglia di felpe e pantaloni che vengono raccolti in grandi cesti e poi saranno donati in beneficenza, 9.20 tutti schierati sulle tre linee di partenza (due nella parte superiore del ponte di Verazzano e una nella parte inferiore dalla quale partirò io), 9.50 si parte!
Sul ponte fa freddino, tutti sono concentrati nel non inciamparsi negli altri corridori e l’unico rumore che si sente è quello dei piedi degli oltre 12.000 corridori partiti con la prima ondata.
Finito il ponte entriamo a Brooklyn, inizia ad esserci qualche spettatore, il primo rifornimento idrico e poi il rumore della gente inizia ad aumentare e appena imbocchiamo la 4th Avenue ci troviamo in mezzo a due ali di folla. È incredibile la quantità di gente lungo la strada che fa un tifo da stadio a chiunque passi.
I primi 10km volano via, sempre a Brooklyn percorriamo Lafayette Avenue, la strada è stretta e piena di gente corro vicino ad altri due ragazzi italiani entrambi indossano una canottiera con scritto Italia e le urla “Italia, Italia” non cessano mai.
Ad un certo punto svoltiamo in una strada in leggera discesa e le urla cessano di colpo, un silenzio quasi irreale e gli spettatori sembrano essersi smaterializzati; dopo un po’ mi rendo conto che siamo nel quartiere Ortodosso Ebraico di Brooklyn e i pochi ‘local’ che passeggiano con le caratteristiche treccine non sembrano molto interessati a noi.
Entriamo nel Queens e le urla ritornano forti come prima anche se dopo qualche chilometro cessano di nuovo perché saliamo sul Queensboro Bridge. La strada sale, passiamo il cartello della mezza maratona e scendiamo verso Manatthan.
La 1st Avenue sembra non finire mai ma le gambe girano ancora, l’incitamento non manca mai e il punto di ristoro con i gel dà un po’ nuova linfa. Si passa nel Bronx per pochi chilometri e poi si attraversa un ponte che riporta a Manatthan sul quale uno spettatore regge un cartello “Last Damn Bridge!”. Il tifo è sempre caldissimo nonostante la pioggerellina che ha iniziato a scendere; al trentacinquesimo chilometro ad Harlem guardo l’orologio, un rapido calcolo e con grande incredulità mi rendo conto che contro ogni mia aspettativa sono in linea per chiudere in tre ore e quindici minuti.
I miei sogni di gloria si schiantano appena la ‘mitica’ 5th Avenue inizia a costeggiare Central Park: di fronte a me si parano una paio di chilometri in leggera salita! È il momento più tosto, raccolgo le energie fisiche e mentali e provo a tenere al ritmo. Entro in Central Park, i decibel delle urla di incitamento aumentano, la strada inizia a salire e scendere, e il quarantesimo chilometro non arriva mai.
L’ultimo miglio mi sembra di correrlo in mezzo ad uno stadio, nonostante la quantità di gente riesco a trovare Sabrina che mi ha fatto visita lungo il percorso più volte e a darle un bacio.
Ultimi 400 metri: le mie manie di grandezza vorrebbero che gli altri corridori si fermassero per tagliare il traguardo da solo.
Arrivo! Che emozione! Guardo il cronometro tre ore e diciassette minuti, mi sembra impossibile. Medaglia al collo, foto di rito, ristoro e poi mi consegnano l’oggetto più ambito: il telino termico con scritto FINISHER 2017.
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