Video Story OrcoRolfy TOR330 2022
Dal racconto del'OrcoRolfy al TOR330PreludioEbbene si anche io quest’anno proverò a cimentarmi nell’endurance trail più duro al mondo. Era da tanto che lo sognavo e non potevo farmi sfuggire un’opportunità del genere. La stagione impostata al meglio per macinare più km possibili ma senza arrivare già stanco alla partenza di settembre. Sono stati mesi belli dove i weekend li passavo a correre tra i monti dall’alba al tramonto, a volte in buona compagnia e altre da solo.
Arriva così il fatidico giorno della partenza, Courmayeur si veste del suo vestito più bello, perché si sa il Tor è la festa della Valle D’Aosta e i suoi abitanti ci tengono particolarmente. Io sono talmente riposato che la sera prima della partenza non riesco a chiudere occhio, mille pensieri mi passano per la testa : se fallisco ? se mi faccio male? sarò abbastanza allenato? Come gestirò le crisi ? il sonno? Ho preso tutto quello che mi serve? se deludo la mia famiglia ? sono pensieri stupidi per lo più, ma la tensione è tanta e anche se cerco di mascherarla il più possibile non ci riesco.
Arriva così il fatidico giorno della partenza, Courmayeur si veste del suo vestito più bello, perché si sa il Tor è la festa della Valle D’Aosta e i suoi abitanti ci tengono particolarmente. Io sono talmente riposato che la sera prima della partenza non riesco a chiudere occhio, mille pensieri mi passano per la testa : se fallisco ? se mi faccio male? sarò abbastanza allenato? Come gestirò le crisi ? il sonno? Ho preso tutto quello che mi serve? se deludo la mia famiglia ? sono pensieri stupidi per lo più, ma la tensione è tanta e anche se cerco di mascherarla il più possibile non ci riesco.
Giorno 0 : Domenica 11
Esco dall’hotel vestito di tutto punto, sono teso tesissimo, cerco di mascherarlo ma senza successo. Mi avvio insieme a Giada verso la partenza dove incontro mia sorella, Antonio e mia mamma che mi incitano. Un abbraccio, qualche foto e mi dirigo verso la lunga fila per “Chippare” il numero del pettorale; prima delle transenne Pino mi intervista, poi proseguo verso l’arco che delimita l’inizio della mia avventura. Ripasso a mente tutto il percorso ad occhi chiusi, rivedo tutti i colli percorsi nei mesi estivi e i mille sacrifici fatti per accennare una sorta di preparazione che mi possa permettere di affrontare l’enorme prova che mi aspetta. Gli speaker iniziano il countdown, parte la musica del Tor, ho i brividi… tra i concorrenti non vola più una mosca 3…2…1….. Viaaaaaaa !!! I primi km sono una sfilata bellissima nelle vie del centro di Courmayeur con centinaia di persone a suonare campanacci, trombe e ogni sorta di strumento che faccia rumore. Parto abbastanza tranquillo non devo farmi prendere dalla foga e cerco di tenere i battiti sotto le 150 pulsazioni. Inizia la prima salita al colle Arp subito tra boschi di larici e poi tra splendidi pascoli che permettono di ammirare il massiccio del Bianco in tutto il suo splendore. In cima al colle il tifo è nuovamente da stadio, inizia la prima discesa fino a La Thuille piena di tifosi come non mai. Proseguiamo verso il Rifugio Deffeyes , la giornata è stupenda. Raggiungo il Passo Alto e proseguo su discesa tecnica a gradoni che termina al bivacco Promoud, guado il torrente poco più in basso e risalgo i ripidi ed esposti pendii del col de la Crosatie. In cima il panorama è da togliere il fiato, scatto qualche foto e affronto la discesa verso Planaval, a quota 2300 metri rendo omaggio al monumento del povero trailer cinese perito nel 2013 durante la notte, proprio lungo questo tratto. Arrivato a Planaval, un po’ di piano e a seguire leggera salita lungo la valle fino alla base di vita di ValGrisanche, nella quale arrivo alle 20:00 giusto in tempo per cena. Mangio di gusto, sto bene e parlo con qualche concorrente, intanto Giada e mia mamma mi aspettano fuori nell’area assistenza per cambiare i vestiti sudati e prepararmi con il materiale notturno. Riparto fiducioso, consapevole che la prima notte sarà quella dei grandi dislivelli con i colli più alti. Affronto la salita al Fenetre sempre senza forzare e la discesa che conoscevo già, con molta, molta cautela. Per chi non lo sapesse Il Col Fenetre dal versante della val di Rhemes è un muro verticale specialmente nella parte alta e il terreno ghiaioso e franoso impedisce di procedere con passo deciso e svelto.
Giorno 1 : Lunedì 12
Passata la prima asperità notturna proseguo insieme ad Emanuele il mio nuovo compagno di viaggio verso Col Entrelor, il primo 3000 m del Tor , la salita è molto lunga ma regolare , il cielo stellato e la luna piena illuminano quasi a giorno gli splendidi ghiacciai, è uno spettacolo ! mi sembra di vivere in un sogno, ho sognato per molti anni di essere qui al Tor e ora ci sono dentro ed è tutto stupendo e magico. Gli ultimi metri dell’Entrelor sono difficili su massi irregolari e ripidi e i 3000 metri di quota mi rendono affannato. Scavallo e scorgo la Valsavaranche giù in basso e quasi 3 ore dopo eccomi nel fondovalle dove è posto il ristoro di Eaux Rousse (84 km). Con Emanuele decidiamo di fare una piccola pausa di mezz’ora per affrontare il Col Loson (3300 M) punto più alto del Tor con qualche energia in più. A dir la verità non ne avevo bisogno e non avevo neanche sonno ma, ormai avevo trovato un amico e ho pensato che affrontare in coppia i pezzi difficili mi avrebbe sicuramente dato la possibilità di procedere più svelto e consumare meno energie. Ci corichiamo per mezz’ora su queste brande scomode fornite dall’organizzazione, la luce della tenda mi impedisce di riposare forse non sono ancora abbastanza stanco. Dopo mezz’ora sveglio Emanuele, mangiamo qualcosa , ci rivestiamo e ripartiamo in vista della “Cima Coppi” del Tor . E’ ancora notte ma si incominciano a intravedere le prime luci, al Casotto di Caccia a 2100 M la valle si apre con praterie d’alta quota nel quale scorre un bellissimo torrente, la temperatura è rigida ma ancora accettabile. Dopo una parte in piano attraverso questo splendido vallone, saliamo decisi per tornanti sempre più in alto e superati i 3000 metri il paesaggio si fa Lunare. Da qui inizia il tratto di sfasciumi nel quale faccio enorme fatica, il fiato è corto mi sento già sfinito eppure non sono neanche a un terzo di gara ! non può essere vero ! Finalmente arrivato in cima esce il sole e riesco a intravedere in lontananza la valle di Cogne e anche il rifugio Vittorio Sella al quale giungo un’oretta dopo. Mangio un bel piatto di pasta, riempio le mie borracce e mi butto giù per i tornanti che portano a Valnontey .
Da qui un “piattone” fino a Cogne, sede della seconda Base Vita. Tifo da stadio nuovamente in paese. Decido di farmi una doccia e massaggio, mi faccio applicare un tape sotto la rotula del ginocchio sinistro che mi comincia a dar fastidio, mi cambio i vestiti aiutato da Giada e mamma e riparto dopo un’ora e 40 min di pausa. Sto bene, la doccia e il massaggio mi hanno dato vigore e con Emanuele procediamo spediti sulla pista di fondo che termina a Lillaz. Qui ci inerpichiamo lungo le pareti delle omonime cascate fino al ristoro di Goilles che sarà l’ultimo fino al rifugio Dondena ( il rifugio Sogno infatti era chiuso). Fa parecchio caldo e io ho commesso il grave errore di mettere le calze di riserva che mi stanno già provocando la formazione di qualche vescica, che coglione penso tra me e me !!! non posso già farmi venire le vesciche ora, perché non mi sono messo le mie solite calze Injiji ?? Continuo a salire insultandomi, la valle è infinita, niente di difficile o pendente ma veramente eterno. Gli ultimi 300 metri di dislivello invece si impennano fino ai 2800 metri della finestra di Champorcher . E’ qui che inizia la discesa più lunga del Tor circa 30 km dapprima regolari fino al Rifugio Dondena , poi su continui tratti ripidi alternati a pianori fino a Champorcher. Inizia la seconda notte e accendo la frontale nel bosco, il sentiero incomincia a percorrere le gole della valle con saliscendi e ponti sospesi in legno che mi fanno perdere l’orientamento; radici e sassi non facilitano la percorrenza e mi stremano. Passiamo per il bellissimo borgo di Pont Bosset, al quale mi annunciano che mancano ancora 8 km alla base vita di Donnas. Questa volta sono stanco, stanco davvero e decido che al check point riposerò almeno 2 ore. L’interminabile discesa mi sta stremando e gli ultimi strappetti verticali mi demoralizzano parecchio ma in qualche modo raggiungo l’asfalto che da Hone porta al forte di Bard.
Giorno 2 : Martedì 13
E’ mezzanotte, nessuno in giro, le vie sono illuminate e i vasi sui ponti e sulle case pieni di fiori colorati. Sulla strada romana arranco sperando di raggiungere in fretta Donnas. Arrivato, Giada e mamma mi attendono come i meccanici di formula uno e in un attimo mi cambiano da testa a piedi. Dopodichè entro mangio tutto quello che posso e cerco una branda che in 2 ore si spera mi ridia un po’ di energia. La stanza è piccola e affollata, fa un caldo pazzesco e sudo come un dannato, crollo in un sonno profondo e non so come, due ore dopo riesco a sentire la sveglia. Mi alzo più veloce che posso, scendo le scale con la leggerezza di un pachiderma , mangio di nuovo, saluto Giada e mamma e riparto per il mio lungo viaggio. Sono le 4 del mattino e le strade sono deserte. La salita da Pont Saint Martin fino a Perloz è immersa nei vigneti che traboccano di grappoli rigogliosi, è uno spettacolo stupendo che continua fino al bellissimo abitato in pietra di Perloz famoso per il suo ristoro con succo di frutta e cantucci mi dicono, li provo, si sono davvero buoni. Il mio viaggio continua giù per una scivolosa discesa fino al torrente Lys , attraversiamo un ponte in pietra e si riparte per la salita più lunga del Tor fino al Rifugio Coda, quasi 1800 metri di dislivello tutti di un fiato. Procedo regolare con Teresa una signora di quasi cinquant’anni che sembra averne appena 30 ( finirà poi prima di categoria a Courmayeur), sale come un grillo, non riesco a stargli dietro, ma non mollo !! Al ristori di Sassaz albeggia e i volontari ci rincuorano dicendoci che in meno di 2 ore dovremmo terminare la salita e poi ci ributtano giù il morale annunciandoci che siamo a metà percorso, per tanti il Tor des Geants inizia ora : “sono rovinato !”penso e, riprendo borbottando sui miei passi. Arrivato in cresta si apre lo splendido panorama tra la pianura piemontese e i ghiacciai valdostani, il cielo è lindo ma un’aria gelida mi investe.
E’ mezzanotte, nessuno in giro, le vie sono illuminate e i vasi sui ponti e sulle case pieni di fiori colorati. Sulla strada romana arranco sperando di raggiungere in fretta Donnas. Arrivato, Giada e mamma mi attendono come i meccanici di formula uno e in un attimo mi cambiano da testa a piedi. Dopodichè entro mangio tutto quello che posso e cerco una branda che in 2 ore si spera mi ridia un po’ di energia. La stanza è piccola e affollata, fa un caldo pazzesco e sudo come un dannato, crollo in un sonno profondo e non so come, due ore dopo riesco a sentire la sveglia. Mi alzo più veloce che posso, scendo le scale con la leggerezza di un pachiderma , mangio di nuovo, saluto Giada e mamma e riparto per il mio lungo viaggio. Sono le 4 del mattino e le strade sono deserte. La salita da Pont Saint Martin fino a Perloz è immersa nei vigneti che traboccano di grappoli rigogliosi, è uno spettacolo stupendo che continua fino al bellissimo abitato in pietra di Perloz famoso per il suo ristoro con succo di frutta e cantucci mi dicono, li provo, si sono davvero buoni. Il mio viaggio continua giù per una scivolosa discesa fino al torrente Lys , attraversiamo un ponte in pietra e si riparte per la salita più lunga del Tor fino al Rifugio Coda, quasi 1800 metri di dislivello tutti di un fiato. Procedo regolare con Teresa una signora di quasi cinquant’anni che sembra averne appena 30 ( finirà poi prima di categoria a Courmayeur), sale come un grillo, non riesco a stargli dietro, ma non mollo !! Al ristori di Sassaz albeggia e i volontari ci rincuorano dicendoci che in meno di 2 ore dovremmo terminare la salita e poi ci ributtano giù il morale annunciandoci che siamo a metà percorso, per tanti il Tor des Geants inizia ora : “sono rovinato !”penso e, riprendo borbottando sui miei passi. Arrivato in cresta si apre lo splendido panorama tra la pianura piemontese e i ghiacciai valdostani, il cielo è lindo ma un’aria gelida mi investe.
Arrivato al Rifugio Coda entro al riparo nel tendone dell’organizzazione, faccio colazione con un bel piatto di pasta al ragù, mocetta e fontina e riparto per il tratto più tecnico dell’intero percorso. Lo sapevo già, l’avevo provato, d’ora in avanti si sputerà sangue( come se prima fosse stato facile) la discesa e poi risalita verso il rifugio Barma sono tecniche poco corribili e richiedono un gran dispendio energetico e molta attenzione considerando le gambe ormai cotte. Il sole è alto nel cielo blu, i massi si scaldano e incomincia a fare davvero caldo. Sono da solo ormai qualche ora e i campanacci del rifugio Barma con il loro tifo mi tirano su di morale. All’interno ripeto le solite procedure che mi accompagnano da ormai quasi 50 ore e riparto. La salita al colle Marmontana e Crenna du Leui sono brevi ma tremendamente ripide , ti ribaltano indietro mentre sali e, come se non bastasse le discese sono su massi sconnessi e spesso scivolosi che mi fanno procedere davvero lentamente. Arrivo al colle della Vecchia visibilmente provato, ma manca ancora la lunga discesa verso Niel. Nella borgata, giungo nel tardo pomeriggio di lunedì , anche qui il tifo è davvero tanto e mi ridà un po’ di energia dopo ore davvero difficili. Riparto per gli 880 metri di dislivello che mi separano dal colle Lazoney che pare interminabile. Accendo la frontale arrivato in cima, il tramonto è splendido, qualche corridore mi ha superato ma non mi interessa la gara è ancora lunga, meglio conservare energia per dopo. Alla fine di questa interminabile discesa metto finalmente i piedi sull’asfalto di Gressoney e vengo accolto da mamma e Giada che ancora una volta sono qui a farmi da supporto. Mi accompagnano fino alla base vita io sono visibilmente provato comincio a perdere lucidità, ho bisogno di dormire la soglia di attenzione sta calando parecchio e non riesco più a spingere; unica soluzione altro microsonno di 2 ore. Entro nella base mi faccio la doccia, mi cambio e vado alla ricerca di una brandina. Ne trovo una al buio, è davvero scomoda, non ho il cuscino, ma non ho voglia di tornare indietro a prendere lo zaino, sprecherei troppe energie e io ne devo preservare il più possibile. Svengo sulla branda qualche secondo dopo, ma il sonno è disturbato, sono scomodo, ho caldo e continuo a tossire, un’inferno !. Mi alzo più incazzato e stanco di prima e quando uno dei volontari invita ripetutamente Giada ad uscire dalla palestra perché non si può fare assistenza al suo interno, io esplodo e gli chiedo come mai riserva solo a me questo trattamento e non lo fa con tutti, è pieno di assistenti dei corridori all’interno della base vita, non so perché ma il solito italiano medio si sente in dovere di imporre regole inesistenti ai ragazzi (che poi tanto ragazzi non sono) e non si osa farlo a persone magari più mature. No caro, Giada rimane lì come fanno tutti, non siamo due bambini come magari all’occhio poco attento di molti può apparire. Senza continuare in polemiche esco e grazie all’incazzatura ritrovo qualche energia, Giada mi accompagna lungo la pista da fondo fino all’inizio salita per il rifugio Alpenzu poi sale in macchina con mamma, ci diamo appuntamento a Valtournanche per pranzo.
Giorno 3 : Mercoledì 14
Lungo la salita al Colle Pinter fa la comparsa la pioggia e la nebbia, c’era d’aspettarselo non può fare sempre bello, la montagna è anche questo e comunque sono preparato a tutto e questi momenti non fanno eccezione.
Le bandierine che segnalano il percorso sono sempre più rade, scopro che le mucche sono ghiotte di queste leccornie di plastica e ne vedo una gustarsela; non ci posso credere !! La nebbia non aiuta, faccio fatica a trovare il sentiero sbaglio un paio di volte ma, alla fine penso che devo solo salire quindi cerco di trovare una qualche traccia e la percorro. In cima al Pinter nevischia sono da solo e non si vede niente, il vento è gelido e fa molto freddo, l’unico modo per scaldarsi è correre, non posso fermarmi, sono sudato e non ho altri cambi. Scendo più veloce che posso per perdere quota e trovare temperature più accettabili ma il tratto attrezzato con corde mi rallenta un po’, poi fortunatamente la discesa diventa corribile e mi ritrovo per le strade deserte di Champoluc. Un cielo grigio e minaccioso annuncia la giornata di mercoledì. Ho di nuovo sonno ma come è possibile ?!, ho dormito a Gressoney, e gli altri concorrenti sembrano essere “riposati” ; procedo letteralmente fino al check point del paese ad occhi chiusi, non ne posso più devo coricarmi. Non voglio dormire di nuovo su una brandina scomoda, perché non riuscirei a recuperare come vorrei, così decido di tirare dritto fino al rifugio Gran Tournalin, al quale arrivo in stato di semi-incoscienza sotto una pioggia battente. Entro e senza neanche salutare (me ne scuso) dico ad alta voce ; “ ho bisogno di un letto” ; una gentile signora mi accompagna nella stanza sopra e mi chiede quanto voglio dormire, io gli rispondo un’ora e mi saluta chiudendomi la porta. Il letto mi sembra la cosa più bella del mondo : un cuscino morbido, un piumone e dalla finestra il ticchettio della pioggia. Crollo in un sonno ristoratore e 60 minuti dopo mi alzo ma qualcosa non va. Ho una tosse tremenda, il catarro è aumentato e non mi sento per niente bene, in più fuori diluvia e non sono certo invogliato ad uscire.
Le bandierine che segnalano il percorso sono sempre più rade, scopro che le mucche sono ghiotte di queste leccornie di plastica e ne vedo una gustarsela; non ci posso credere !! La nebbia non aiuta, faccio fatica a trovare il sentiero sbaglio un paio di volte ma, alla fine penso che devo solo salire quindi cerco di trovare una qualche traccia e la percorro. In cima al Pinter nevischia sono da solo e non si vede niente, il vento è gelido e fa molto freddo, l’unico modo per scaldarsi è correre, non posso fermarmi, sono sudato e non ho altri cambi. Scendo più veloce che posso per perdere quota e trovare temperature più accettabili ma il tratto attrezzato con corde mi rallenta un po’, poi fortunatamente la discesa diventa corribile e mi ritrovo per le strade deserte di Champoluc. Un cielo grigio e minaccioso annuncia la giornata di mercoledì. Ho di nuovo sonno ma come è possibile ?!, ho dormito a Gressoney, e gli altri concorrenti sembrano essere “riposati” ; procedo letteralmente fino al check point del paese ad occhi chiusi, non ne posso più devo coricarmi. Non voglio dormire di nuovo su una brandina scomoda, perché non riuscirei a recuperare come vorrei, così decido di tirare dritto fino al rifugio Gran Tournalin, al quale arrivo in stato di semi-incoscienza sotto una pioggia battente. Entro e senza neanche salutare (me ne scuso) dico ad alta voce ; “ ho bisogno di un letto” ; una gentile signora mi accompagna nella stanza sopra e mi chiede quanto voglio dormire, io gli rispondo un’ora e mi saluta chiudendomi la porta. Il letto mi sembra la cosa più bella del mondo : un cuscino morbido, un piumone e dalla finestra il ticchettio della pioggia. Crollo in un sonno ristoratore e 60 minuti dopo mi alzo ma qualcosa non va. Ho una tosse tremenda, il catarro è aumentato e non mi sento per niente bene, in più fuori diluvia e non sono certo invogliato ad uscire.
In qualche modo mi rivesto ma perdo i miei pantaloni impermeabili, sono confuso non ragiono bene e forse ho pure la febbre. Scendo mi metto la giacca mangio qualcosa e riparto per il tratto finale del col di Nannaz. Qui vengo sorpassato da un po’ di persone non riesco a spingere sto male, tossisco come un dannato nessuno può aiutarmi, sono abbattuto ed a un certo punto crollo. Non so cosa mi sia capitato ma non me ne vergogno, scoppio a piangere, lo stress è troppo, troppe emozioni, troppa fatica, forse non sono pronto a tanto, forse sto per fallire. Piango perché non voglio ritirarmi, perché ho lavorato e impiegato tutto il mio tempo libero e più per questo Tor des Geants . Sto delirando lo so e in questo delirio chiedo l’aiuto di papà. Io non so quali forze ultraterrene esistano o cosa ci sia al di là della vita ma non dimenticherò mai quel momento quando appena 10 minuti dopo il mio delirio incomincio a correre come se fosse la prima discesa. L’affronto recuperando molte posizioni e registrando addirittura il mio PR su quel tratto. Alla base di Valtournanche arrivo con anticipo tanto che sorprendo mamma e Giada che arrivano poco dopo. Mi cambio, mangio, Giada mi medica le vesciche e riparto come un treno verso il rifugio Barmasse. Salgo bene, sto bene e intanto ha smesso di piovere e fa anche discretamente caldo. Al Barmasse incontro qualche concorrente svenuto e i volontari che cercano di farli riprendere, io per fortuna sto bene e dopo aver mangiato qualcosa riparto direzione Rifugio Magià. In questo tratto ho di nuovo un calo fisico e un’altra crisi procedo lentamente e vengo superato da alcuni concorrenti. A fatica raggiungo la Finestra di Tzan dalla quale inizia la lunga e ripida discesa verso il Magià. Ho male alla tibia ogni passo in discesa è una pugnalata, cerco di mettere i piedi in modi diversi per vedere se ho meno male ma la situazione non cambia. Arrivo al rifugio al tramonto e ripeto le stesse parole che ho usato al Gran Tournalin : “ho bisogno di un letto”. I volontari mi accompagnano su nelle stanze, e io crollo nuovamente per un’altra ora. Alla sveglia un’altra volta ho l’ennesima sensazione di malessere generale e tosse, mi butto giù dal letto e mangio qualcosa parlando con i volontari che mi incitano a non mollare. Esco e inizio la scalata al Rifugio Cuney , inutile dirlo quanto sia ripida e snervante, piove, fa freddo e non c’è nessuno, vedo solo qualche luce delle frontali in lontananza. Mi aspetta un’altra notte da solo e la cosa non mi tira di sicuro su di morale. Arrivo al Cuney nel cuore della notte, mi precipito all’interno della calda tenda per ripararmi dal freddo e cerco di scaldarmi con del brodo e tè caldo.
Giorno 4 : Giovedì 15
Senza molte parole riparto per il Bivacco Clermont, ha smesso di piovere ma tira vento forte, continui saliscendi ed eccomi al bivacco dove 3 simpatici volontari mi servono altre bevande calde. Mi dicono che due concorrenti si sono ritirati e stanno dormento nei letti dietro, l’indomani le guide li riavrebbero riportati giù a valle. Il pensiero continua sempre di più a prendere forma nella mia testa, ripartire o finire le mie sofferenze e restare in quel bel letto caldo ritirandomi come quei due concorrenti? Niente da fare , non si molla ! appena vengo colto da questi pensieri esco subito, meglio non pensarci molto, la tentazione potrebbe essere troppa. Affronto gli ultimi 100 metri di dislivello verticali che mi separano dal colle Vessonaz e poi inizio la seconda interminabile discesa, questa volta verso Oyace. Il male alla tibia è devastante non riesco ad appoggiare la gamba sinistra, le provo tutte: salto su una gamba, salto con i bastoni, scendo lateralmente, provo persino all’indietro ma niente da fare. Il tratto iniziale è scivoloso e scosceso ci metto un’eternità, poi arriva il lungo pianoro nel quale molti mi sorpassano correndo, io stringo i denti camminando il più veloce possibile. Giungo al torrente sempre più abbattuto e mi faccio altri 100 metri di dislivello sempre ovviamente verticali per giungere sull’asfalto che dopo una breve discesa termina al ristoro di Oyace. Sono devastato, zoppico vistosamente e ho un freddo cane.
Ad Oyace cerco subito un infermiere/fisioterapista e gli spiego il mio problema alla tibia, purtroppo non è molto esperta e mi applica un tape che non risolve la situazione. Nel frattempo mi cambio e dico a Giada e mamma che devo dormire un’ora assolutamente. Loro con la solita calma e pazienza mi danno una doppia coperta e mi fanno coricare poco più in là. Un’ora dopo Giada mi sveglia, io sembro in un altro pianeta, non capisco neanche dove mi trovo, lo spazio e il tempo per me sono indefiniti. Dopo essere stato vestito come un bambino, mi somministrano un’oki e vengo spedito fuori dalla base. Giada mi accompagna un pezzo io inizialmente sto di nuovo bene ma arrivato a Ollomont il male alla tibia è di nuovo insopportabile. Ritento e chiedo se un fisioterapista mi può guardare la gamba e stavolta finalmente vengo curato come si deve. Il volontario fa un lavoro con i “fiocchi” e mi rimetto in piedi fiducioso. Dai Alessandro mancano “solo” due colli !! Riparto per il colle Champillon sto un po’ meglio il sole aiuta a scaldarmi e l’umore migliora. Al rifugio Champillon il tifo è di nuovo grande, così mi fermo per la solita bevanda calda e qualche pezzo di pane con mocetta. Riparto per le ultime asperità del colle che in cima si mostra in tutta la sua bellezza. La discesa fino a Saint Rhemy En Bosses è di 20 km : i primi 10 sono un bel traverso su single track e i restanti 10 su poderale prima in piano poi leggera discesa fino a Bosses. Qui correre farebbe la differenza ma io ho di nuovo un male cane e in più mi è tornato il sonno. Alle 15:00 eccomi sotto il campanile di Bosses pronto per il rush finale. Un’infermiera mi somministra una tachipirina 1000 e mi spedisce fuori dicendomi di volare verso il traguardo, come se fosse facile ahahah. Saluto le due sante di mia mamma e Giada e gli dò appuntamento finalmente a Courmayeur. Grazie al caffè e la tachipirina mi sembra di volare (per quanto sia possibile dopo 320 km) e mi dirigo verso il rifugio Frassati con buon passo, le nuvole sono minacciose ma non piove per fortuna. Al Frassati mangio un bel piatto di pasta prendo un altro caffè e corro verso il Malatrà, sono felice, incomincio a intravedere la fine e questo mi ridà in qualche modo energia. Scorgo il fotografo nell’iconica insenatura del Col Du Malatrà, manca poco, ecco le corde e gli ultimi difficili metri, il fotografo mi dice di sorridere, io accenno una smorfia più di dolore che di felicità. Sono in cima. Quello credo sia e sarà uno dei momenti più iconici e che non dimenticherò mai, quando ho realizzato che forse ce l’avrei fatta che non mancava così tanto e gli occhi pieni di ammirazione del fotografo che mi batteva il 5 e mi diceva: “ Grandissimo Gigante !! vola verso Courmayeur ce l’hai fatta!!. Io sapevo che da lì proprio fatta non è, e che neanche le salite sono terminate ma, già vedere lo Chetif di Courmayeur in lontananza aiutava psicologicamente. Scendo di buon passo lungo la veloce discesa, la tachipirina sta facendo ancora effetto e io devo approfittarne. Ultimo strappo verso il passo Entre deux sauts e altra discesa verso la val Ferret. In lontananza vedo una frontale sola ferma in mezzo alla vallata e poco dopo sento le urla, mi fermo per sentire e capisco che il ragazzo si è perso e non sa dove si trova, le poche bandierine , la stanchezza e il buio l’hanno portato fuori strada e ora è molto disorientato. Urlando chiedo al ragazzo sul suo stato di salute e lui per fortuna mi risponde che sta bene, così gli punto la luce della frontale per indicargli la via da seguire, lui dopo 10 minuti mi raggiunge e ringraziandomi ancora sotto shock e impaurito riprende a correre. Raggiunto il balcone della Val Ferret parte una seconda gara: tutti incominciano a tirare come matti e il ritmo diventa davvero insostenibile almeno per me. Perdo qualche posizione ma non mi interessa voglio solo arrivare al traguardo e dormire in un letto vero. Al Bertone finalmente la discesa finale, questa volta è davvero l’ultima e a metà strada rincontro le due sante di mia mamma e Giada che corrono gli ultimo 3 km insieme a me, mi tirano, io ho male ovunque la tibia non la sento più , cerco di correre il più possibile, vedo finalmente le luci di Courmayeur, in lontananza mia sorella mi viene incontro complimentandosi con me; sono felice mi sembra di volare, la gente applaude, mi incita solo le 23.15 e taglio il traguardo della gara endurance più dura del mondo. Non ci credo, non realizzo ancora, voglio solo andare a casa, i fotografi mi scattano foto, io sono intontito non so dove mi trovo, ho freddo ora che ho smesso di correre. Voglio una doccia calda, cerco di fare il simpatico ma assomiglio più a un cavernicolo scontroso che un simpatico finisher.
A qualche giorno di distanza finalmente sto realizzando quello che è successo : 5 kg in meso e 35000 cal consumate mi hanno segnato profondamente nel fisico e nello spirito, ma ogni singola fatica posso certamente dire che ne è valsa la pena. Nonostante non riesca ancora a camminare benissimo credo che questa esperienza sia in qualche modo una crescita personale che mi aiuterà a migliorare sia come persona che come atleta, il viaggio più duro tra le montagne più belle del mondo. Una prova democratica che non fa sconti a nessuno. Un grazie immenso va ai volontari che rendono questa manifestazione quello che è e senza i quali non potrebbe neanche esistere, ringrazio anche amici e famigliari che mi hanno seguito e tifato per me dandomi quella carica in più. Il ringraziamento più grande però va a mia mamma (Orco Patty) e Giada (Orco Smaug) che mi hanno accudito come un principe e aiutato nei momenti più difficili. Posso dire per certo che senza di loro non sarei mai riuscito a terminare una prova così difficile.
W il Tor e viva gli Orchi !!!
W il Tor e viva gli Orchi !!!
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