Dal racconto dell'OrcoSelena
Mi sono bruciata la lingua con il cappuccino appena fatto.
Mi ci vuole sempre almeno un’ora per risvegliarmi del tutto, quando mi alzo presto. Però la domenica la città dorme e quando guardo l’alba dalla finestra mi godo l’esclusiva come se fosse un’anteprima a La Scala.
Appoggio delicatamente la tazza sul tavolo, nonostante la stizza per la bruciatura. Devo arrivare al punto di ritrovo entro le sei, ma mi soffermo ancora un po' a respirare il caffè come se quel tempo mi fosse dovuto.
Poi metto le scarpe da corsa e mi alzo lo scaldacollo sopra il naso, ci respiro dentro.
Prendo la giacca antivento e lo sguardo mi si posa sulla scritta sul dorso: “Marathon des Alpes Maritimes 2011”.
-Ti ricordi la nostra prima maratona? Partenza alle 7:00 di mattina, era novembre.
Mi ci vuole sempre almeno un’ora per risvegliarmi del tutto, quando mi alzo presto. Però la domenica la città dorme e quando guardo l’alba dalla finestra mi godo l’esclusiva come se fosse un’anteprima a La Scala.
Appoggio delicatamente la tazza sul tavolo, nonostante la stizza per la bruciatura. Devo arrivare al punto di ritrovo entro le sei, ma mi soffermo ancora un po' a respirare il caffè come se quel tempo mi fosse dovuto.
Poi metto le scarpe da corsa e mi alzo lo scaldacollo sopra il naso, ci respiro dentro.
Prendo la giacca antivento e lo sguardo mi si posa sulla scritta sul dorso: “Marathon des Alpes Maritimes 2011”.
-Ti ricordi la nostra prima maratona? Partenza alle 7:00 di mattina, era novembre.
-È sempre la prima domenica di novembre, come la maratona di New York. Una volta o l’altra dovremmo saltarla, se vogliamo andare a quella di New York. Perché dobbiamo andarci. Vuoi ancora farla?
Guardo mio padre mentre beve il caffè in un unico sorso, mentre io non ho ancora nemmeno cominciato. Avvolgo entrambe le mani sulla mia tazza calda per dargli l’impressione che mi stia affrettando anch’io.
-Ci siamo alzati alle 5:00 e il bar dell’hotel era ancora chiuso, per cui siamo andati in quella caffetteria, ti ricordi quanto era stretta? C’era il bancone di metallo un po' ammaccato, poi giusto lo spazio per una fila di persone in piedi e poi subito la vetrata. I francesi fanno tutto stretto.
-Però fanno bene il Pain au chocolat. Lo abbiamo mangiato come se la gara dipendesse da quei carboidrati. Non ne sapevamo ancora un bel niente di corsa. E poi ti ricordi che per poco non ci siamo quasi…
All’improvviso qualcuno alza il volume della musica e le sue parole si disperdono nell’ambiente. Lui lancia uno sguardo di rimprovero al barista e poi guarda me scuotendo visibilmente la testa. Subito io sorseggio un po' di latte, guardandolo da dietro la tazza come se ci fossi di mezzo anch’io. Poi rido e lo fa anche lui. Provo a dire qualcosa ma c’è troppo rumore.
Quella mattina di novembre ci aggiravamo tra le griglie di partenza, suddivise a settori per tempo di gara previsto.
Le vie erano piene solo di runner oppure di famigliari venuti a sostenere un papà o una sorella.
Io e mio padre eravamo lì entrambi per correre e così ci sostenevamo a modo nostro.
Faceva freddo e mancava ancora mezz’ora alla partenza. Inesperti, decidemmo di non entrare nelle griglie e di muoverci ancora un po’ per scaldarci. All’ultimo ci venne persino in mente di fare un salto al bagno.
Ci demmo appuntamento a un inequivocabile lampione della Promenades des Anglais, quello accanto all’ingresso del Beau Rivage.
Lo ricordo bene, con il suo arco in ferro battuto e le lettere azzurre come la rinomata Costa.
Non ricordo invece con esattezza il momento in cui ci dividemmo, io diretta verso i bagni chimici delle donne, lui altrove.
Un paio di minuti dopo riaprii la porta di plastica rossa, ma il mondo che mi si presentò davanti non era più lo stesso. C’era una folla soffocante di corridori compatta su ogni lato, faticai a raggiungere la grigia di partenza.
Una volta arrivata mi accorsi che la massa di persone non solo limitava la visuale a meno di un metro da me, ma rendeva impossibile localizzare l’ingresso del Beau Rivage.
Il punto di incontro che ci eravamo dati era perduto. Pensai che mai più avrei scelto un punto di riferimento ad altezza uomo. Fu il mio ultimo pensiero razionale, poi entrai nel panico.
Se avevo perso il punto di ritrovo, avevo perso mio padre.
Mancavano 4 minuti alla partenza e forse mi attendevano 42.192 metri di corsa da sola. Non potevo nemmeno pensarci.
Continuai a cercarlo con lo sguardo, mentre mi facevo largo a fatica.
All’improvviso ebbi un’illuminazione. Se ci stavamo muovendo entrambi, non ci saremmo mai trovati. Quando ero bambina mi aveva lasciata seduta nel bosco, per quello che allora mi sembrò un tempo interminabile, dicendomi “torno subito, tu aspettami qui”. Sapeva quanto mi avesse terrorizzata quella vicenda, ero certa che in quell’esatto momento gli fosse venuta in mente e che avrebbe ragionato allo stesso modo di allora: dovevo restare dov’ero e aspettare che mi trovasse.
Decisi di uscire dalla folla e mi posizionai in un punto sopraelevato.
Guardai l’orologio e mancavano 3 minuti. Ebbi un sussulto e fui in preda all’impazienza. Chiusi gli occhi e visualizzai mio padre: maglia rossa, pantaloncino nero.
Riaprii gli occhi: ce n’erano a centinaia.
Papà scusami, ma io non ce la faccio. Mi ributtai nella griglia e cercai tra i visi.
Lo speaker urlò “2 minutes à le depart!” come se fosse la notizia migliore che potesse darmi.
Il vociare della folla in estasi aumentò di volume.
Ora battevano le mani come in un rito tribale.
Sembravano un banco di pesci, dondolavano avanti indietro per scaldarsi e con addosso i sacchi termici argentati scintillavano in un unico mare.
Un minuto. Stavo sudando sotto il mantello di plastica argento. Misi a fuoco la realtà: c’era ormai l’altissima probabilità che non ci saremmo trovati. Feci allora una lucida proiezione dei fatti: Allo sparo tutti noi avremmo iniziato a muoverci nella stessa direzione, a quel punto avrei potuto tentare di raggiungerlo.
Se lui fosse stato davanti a me. Ma se invece fosse stato dietro? Allora avrei dovuto rallentare e sperare che tentasse lui di raggiungermi.
Qual’ è la tua strategia, papà?
Ero certa che a quel punto avesse già calcolato con precisione le probabilità di trovarci che io avevo solo stimato.
Fu più o meno allora che quella idea mi balenò in mente.
Senza di lui io non parto, non ha senso.
Mi ritiro.
A 15 secondi dallo start partì un conto alla rovescia corale. Le voci all’unisono battevano il tempo della mia condanna, il mio cuore invece batteva veloce e pesante.
Poi ci fu lo sparo e i corridori iniziarono a muoversi come in un unico corpo e io ne facevo parte.
Metabolizzai in un boccone l’idea che la nostra prima maratona sarebbe stata in solitaria. Corsi alcuni passi pesanti, in trance. Vidi persino l’unico volto al mondo che avrei voluto vedere in quel momento.
Ci guardammo negli occhi.
Lui era lì, io ero lì, in carne ed ossa.
Credo che entrambi fossimo sull’orlo di scioglierci in lacrime.
Poi ci furono 42 km di corsa.
-Papà?
Sono al punto di ritrovo e sono le sei passate da un paio di minuti. Davanti a me il paesaggio è inghiottito dalla nebbia mattutina e l’ingresso nel bosco sparisce dopo la prima fila di alberi.
-Ti ricordi la nostra prima maratona, quella volta che ci siamo persi…
Faccio qualche passo verso gli alberi.
-Sai come faccio da allora nel caso dovessi perderti? Vengo al nostro punto di ritrovo, un punto inequivocabile. Poi entro nel bosco, o percorro una strada di città. Basta che io abbia le scarpe da corsa ai piedi e tu compari come quella volta alla partenza.
Scommetto che lo sapevi che insegnandomi a correre, mi avresti lasciato qualcosa di te.
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