sabato 30 luglio 2016

Monte Rosa Walser Trail Gressoney-La-Trinité (Ao) 30 Luglio 2016


Classifica Monte Rosa Walser Trail 2016
Sito Monte Rosa Walser Trail

Dal racconto dell'OrcoMami

Ovvero "Il  canto del cigno e la nuova libertà"

Monterosa  Walser Trail , Gressoney 30-31 luglio 2016
Piero, Gianni, Albino ed io  ci siamo lanciati  in questa  avventura sperando di dare una rifinitura  all’allenamento per il TOR, invece …..

Ma veniamo  ai numeri.
114  KM
9500D+
35  ore di tempo  massimo
L’Ambiente : Monte  Rosa

Quattro  dati per intendere che poteva  essere un gran bell'allenamento finale, ma già al  momento dell' iscrizione  avevamo avuto i primi dubbi perché il dislivello pareva essere troppo in relazione  ai km totali. Dubbi che poi si son rilevati corretti.
L’idea  era di impostare una gara  in conserva. Stare nel tempo massimo e non farsi del male più di tanto.
Sto usando queste  parafrasi  per dirvi  la vera  e dura verita’ :  169   I  PARTENTI …MA  ARRIVATI AL TRAGUARDO  SOLO  72 !!
Mai visto una cosa  simile!
Come  mai? L’arcano si svelerà nelle prime ore di gara.
Partiti da Gressoney  La Trinitè al buio delle 5 con la  frontale accesa sotto un cielo stellato  degno della notte di San Lorenzo. Si inizia a salire ad un ritmo medio per i primi 500 mt  disl.
Poi il gruppo si sgrana; inizia una piccola discesina su sterrato che aiuta  a sciogliere i muscoli della prima salita.

Imbocchiamo ora il vallone  di Salza e la pendenza si fa subito irta e bisogna per forza mantenere una  andatura consona al chilometraggio totale che ci aspetta.
Invece  veniamo superati da vari gruppetti che tengono ritmi decisamente da… mezza  maratona,  e che  baldanzosi  si inerpicano su  per il  sentiero.
Andiamo innanzi, raggiungiamo dopo oltre 1000D+, il passo  SALZA  a  2882 mt di  quota.
Improvviso e violento come un fulmine, il primo sole del giorno ci inonda del suo calore benefìco; ora scendiamo fino a costeggiare il lago del Gabiet ed  al ristoro di  Rong si riprende subito a salire. Il sentiero  ripidissimo ed a tornanti  si innalza verso il colle di Valdobbiola  e poi continua in falsopiano alla volta del colle di Valdobbia .
La pendenza è davvero terribile e son di nuovo piu di 1000D+!
Ci  scambiamo occhiate ma nessuno  di noi riesce  ad  avere un  passo più svelto. Guardo il  mio Garmin e vedo che  in 1km (il 27°) si sale  di 312D+!
E’ DURISSIMA…ma eccoci al punto dolente, vediamo  ancora  alcuni concorrenti  che passano leggiadri...  e più che altro notiamo che  intorno a noi c’è il vuoto di concorrenti !
Niente  da fare il ritmo cede progressivamente e ben presto comprendiamo che non riusciremo a passare il cancello delle  prime  10 ore entro le 15, come  richiesto.
La cosa ci stupisce non poco perché comnque avanziamo  ai 3,5 km /ora  che in un trail con  1000D+ ogni 10 km, dovrebbe essere più  che onorevole!
Invece no !

Tutto  questo per dirci, cari  amici che c’è un tempo per ogni cosa nella vita, ed anche nello sport.
 Ebbene  si, abbiamo proprio vissuto intimamente quella amara e al tempo stesso dolce sensazione di quando pur sentendoti bene e rendendo come sempre fisicamente, intorno a te “ gli  altri”  hanno una marcia in più.
Ti rendi conto  che  stai  cambiando.
Ti rendi conto che il tuo fisico sta cambiando.
Ti rendi conto che il trail sta cambiando con i suoi ritmi  che son ora per te più difficili  da tenere.
Ti rendi conto di quanto sei comunque fortunato ad essere li’ alla tua età ma… ma ... ma... ma...
Ti rendi conto, e per fortuna lo condividi con i tuoi coetani sessantenni, che si deve fare una riflessione.
Ti rendi conto che il famoso “CANTO DEL CIGNO” …  forse  esiste.
Anzi esiste.
Insomma   capisci che la saggezza dell’età  sta proprio nel saper cogliere i segnali del tuo corpo e della  testa.
La saggezza sta forse nel capire che è meglio modellare, mitigare adattare le tue pretese alla tua  realtà storica, alla tua età.

Arriviamo  ai cancelli  fuori tempo  massimo, ci fermano.
Non siamo tristi: abbiamo in  realtà avuto una grande opportunità per la nostra passione sportiva: quella di fermarci un attimo e di riflettere. 72 atleti arrivati al traguardo su 169 partenti . Erano eccessivamente stretti  i tempi  dei cancelli? Era una gara eccessiva con troppo dislivello in rapporto ai km? Erano tutti troppo forti?..Eravamo noi che..
Non importa  la  risposta. Quello che importa è che abbiamo avuto una grande occasione per riflettere su noi stessi. Riflettere su come  e dove  andiamo, con le scarpette  ai piedi.
Il trail  oggi è indubbiamente cresciuto sia come  numero di gare proposte agli appassionati, sia come chilometraggi di lunghezza e sia come velocità minime  richieste.
Nella  mente  si affollano i ricordi della CRO-MAGNON 2008 quando le forze fisiche erano maggiori  e forse lo spirito di avventura aleggiava con tonalità più forti  di oggi.
Tutto si evolve a questo mondo ed anche il trail non si sottrae a questa legge.
Prendiamone atto e gustiamoci questa bella sensazione di  “maturità”: sta ad ognuno di noi fare tesoro di queste esperienze per meglio vivere nel futuro lo sport.
Sicuramente  con  il Monterosa Walser TRAIL, il vero TRAIL  pare averci dato l’occasione di cantare il ” CANTO DEL CIGNO “.
L’ENDURANCE  invece  ha ancora  qualcosa  da dirci : il TOR  DES GEANTS è lì che ci aspetta con la sua follia  di numeri , con il suo ritmo a km/h/disl  più consono, con i suoi limiti estremi, con i suoi spazi immensi, con il suo coacervo di sensazioni.
Andiamo incontro a quest’altra opportunità sereni con i nostri numeri: quelli  dei km e dislivelli percorsi in allenamento e…quelli dell’età.
Staremo a vedere !!

Bici BdC Pian di san Nicolao (Moncenisio) - Plan du Lac (loc. Bellecombe Termignon) Haute Maurienne (F) 30 Luglio 2016

Foto Bici bdc Plan du Lac 2016

Dal racconto dell'OrcoBee

E' l'ultimo fine settimana di luglio, per domenica le previsioni non sono granchè, molti orchi sono impegnati nelle più svariate attività che la natura ci può proporre...che si fa?
Propongo a Gabriella alias Orco730 la riedizione di un giro in bici da corsa che avevo fatto qualche anno fa con amici ciclisti; la salita al Plan du Lac, splendida località montana nella Haute Maurienne, dai cugini francesi, oltre il Moncenisio.
Allora ero sicuramente meno allenato di adesso ma ricordo una salita con pendenze di tutto di rispetto che porta ad uno degli altopiani alpini più belli che avessi mai visto, con annesso rifugio.
Orco730 non si fa di certo pregare e ci troviamo puntuali a Rivoli il sabato mattina, destinazione Piana di san Nicolao, dove abbiamo deciso di fissare la partenza. Su per le rampe del Moncenisio incrociamo parecchi ciclisti, la giornata e bella anche se meteoFrance parla di possibili temporali sulle montagne di confine già nel pomeriggio.

Parcheggiata la macchina, alle 9:15 siamo in sella ed affrontiamo le scale del Moncenisio e poi approdiamo al Plan de la Fontanette dove facciamo tappa per un caffè. Dopo aver sventato il tentativo maldestro del barista di fregarci con il resto (Ehi ragazzo!! Orco730 mica per caso!) ci fiondiamo giù verso Lanslebourg (e pensiamo che dovremmo comunque rifare la strada di ritorno nel pomeriggio...in salita!).

Svoltiamo poi a sinistra in direzione Termignon dove, qualche centinaio di metri prima dell'abitato, si stacca una stradina che conduce a Bellecombe – Plan du Lac (il cartello dice 12 km ma in realtà sono quasi 14). La strada in effetti sale abbastanza decisa, non si tratta di pendenze proibitive ma spesso si assapora il 10% e comunque si viaggia sempre intorno all'8%. Ma la vera piaga del giorno non è tanto la salita quanto il terribile assalto di centinaia di noiosissime mosche! Attratte dall'emissione di notevoli dosi di anidride carbonica / sudore, ci accopagnano per tutta la salita, un vero e proprio strazio!. Al dodicesimo km la salita non è ancora conclusa, il cartello era in effetti traditore! Io mi ricordavo un bel pianoro negli ultimi tre km ma in effetti è vero che i  ricordi delle fatiche si eliminano, mentre si tende a ricordare più facilmente l'appagamento della conquista. La strada sale ancora per un km e mezzo circa mentre sono solo gli ultimi 300 metri a farci rifiatare!
Ma tant'è, siamo arrivati, il posto è bello come me lo ricordavo ma il cielo oggi è sporcato da nuvoloni grigi che incombono sulla cornice delle montagne tutte intorno al rifugio.

Ci rifocilliamo e dopo una mezz'ora di sano “svacco” inforchiamo nuovamente le bici per far ritorno alla macchina. Fino a qui sono 45 km e 1500 metri circa di salita. Dopo la bella discesa ci aspetta il ritorno a Lanslebourg e poi la risalita al Moncenisio per accumularne altri 900 circa.
Nel frattempo il grigio è sempre più esteso e comincia a cadere una leggera pioggia. Acceleriamo il passo per cercare di evitare la doccia. Sulla salita del Moncenisio tutto sommato è una condizione che ci avvantaggia. Sono le 14.30, sotto il sole cocente avremmo certo patito maggiormente.
Arrivati al colle l'Italia ci accoglie nuovamente con il sole! Affrontiamo il lungo falsopiano che costeggia la diga e ci buttiamo a tutta verso la macchina che si trova su uno spiazzo dove ci dobbiamo far largo in mezzo a una ventina di scatenati motociclisti. Alla fine abbiamo accumulato quasi 2500 metri dislivello in 90 km scarsi...niente male!
W le salite! W Gli Orchi!

venerdì 29 luglio 2016

Alpinismo Dente del Gigante 4013slm Massiccio Monte Bianco Courmayeur(Ao) 29 Luglio 2016

Foto Dente del Gigante Massiccio Monte Bianco 2016

Non importa quali obiettivi raggiungi. Quando sei uno scalatore c'è sempre un'altra montagna (Meredith Grey).

Dal racconto dell'OgreDoctor

Sono circa le 20.00 quando varchiamo la soglia del Rifugio Torino. Dopo undici ore, la tensione volta a mantenere alta la concentrazione, finalmente, si scarica. Nel volto cotto dal sole è dipinta la soddisfazione, l’ennesima, di questo 2016, per aver coronato un sogno: salire il Dente del Gigante!
Siamo tutti di fronte a tavola in una sala da pranzo deserta, quasi ammutoliti dalla stanchezza. Siamo gli ultimi a consumare la cena. In effetti siamo stati un po’ lenti, ma tre cordate da 2 persone, che si aspettano e si aiutano nei passaggi più difficili, non possono essere veloci. Se poi, al numero dei componenti della spedizione, aggiungiamo il carico di responsabilità del nostro capo gita, Carlo, istruttore e alpinista più esperto del gruppo, il tempo impiegato è presto spiegato.
Nell’ascesa al Dente del Gigante, ho usato tutto quello che, ad oggi, ho imparato frequentando la Motti, nei corsi di roccia, ghiaccio e alpinismo.
È stata una salita stupenda, nelle mitiche Placche Burgener ho dovuto dar fondo a tutte le risorse che avevo, per superare alcuni tratti davvero muscolari. Arrampicare a queste quote si fa sentire. Nonostante l’allenamento il respiro è a tratti affannoso. Nelle soste, nell’attesa di ricompattare il gruppo, prendo fiato.

Mentre salgo dietro Carlo, osservo e studio i suoi passi, il modo di integrare la via, complementarmente schiodata, fatta eccezione per le soste. In realtà in parete ci sono molteplici punti di sosta dai più antichi su chiodi, ai più artigianali sui fittoni della corda fissa, ai più moderni su spit. Si fa fatica a descriverne i tiri, è in molti casi è la fantasia del nostro capo cordata a deciderne la lunghezza.
L’esposizione, in molti tratti della cresta, è da capogiro. La giornata è stupenda, la cornice del massiccio del Bianco spettacolare. Mentre saliamo avvicinandosi alla gengiva, passiamo dalle prima luci dell’alba, alla luce accecante del giorno, in un tripudio di colori.
Mi sento bene, tranquillo, quasi più a mio agio attaccato come un geco sul freddo granito del Dente, che sullo sfasciume della cresta che porta all’ultimo nevaio, dove un cordone rosso segna l’attacco della via. Un piccolo movimento falso e una nefasta cascata di pietre di varie dimensioni piomberebbe addosso ai miei compagni di cordata.  Dobbiamo testare ogni appiglio prima di affidarci ciecamente alla roccia.
Per fortuna tutto fila liscio. Dall’intaglio sotto la madonnina con tre aeree calate da 60 metri siamo alla base della parete e recuperato il materiale, abbandonato prima di salire, siamo pronti per l’ultima parte della discesa, forse la più noiosa.

Cerchiamo di indovinare la via per scendere, intravedendo qualche sparuto ometto (certo che segnare il sentiero non sarebbe male, ma capisco che per le guide alpine sarebbe un disastro!). Rimaniamo corti per evitare e intercettare le eventuali cadute di sassi dall’alto e con qualche passo di disarrampicata, improvvisato alla bell’e meglio, ci riportiamo alla sommità del canalino che termina con la crepaccia terminale. Dall’alto la sua bocca sembra bella spalancata e pronta ad inghiottirci.
Coraggio, dobbiamo pur scendere a valle! Girati nuovamente faccia a monte scendiamo il canale su una neve ormai acquosa, ma ancora portante. Il corso di ghiaccio e la gita al Pelvoux hanno dato i lori frutti e ormai la picca è un’estensione del braccio e affonda sicura nella neve.
Visto da vicino la terminale sembra meno spaventosa e il ponte di neve da attraversare ancora bello solido. Passato questo ultimo ostacolo, riprendiamo veloci la via del rifugio.
Il sole sta ormai tramontando, ripassiamo sotto l'Aiguille Marbré è finalmente apriamo il cancelletto che segna il confine con il mondo civile, la fine del sogno.
“Correre come scalare permette di guardare e di guardarsi, ascoltare e ascoltarsi. La percezione di sé stessi è il più semplice e devastante modo per sentirsi vivi, dannatamente protagonisti dei propri sogni, anche di quelli reputati inutili come sudare e fare fatica per non ottenere apparentemente nulla in cambio.
Ma è l’intensità delle nostre emozioni, l’entusiasmo del nostro viaggio di vita delle nostre scelte, quelle che fanno il nostro passaporto, che rappresentano la nostra non replicabile vita…
Alla parola correre vorrei che fossimo in grado di sostituire la parola “sognare”, combattere agire. È forse questo che abbiamo disimparato a fare. Non abbiamo sufficiente fame e ci viene sempre più difficile alzarci all’alba, affrontare le intemperie, accettare nuovi sacrifici, pagare il prezzo …e essere realmente liberi e protagonisti del nostro quotidiano.
Sta insomma a noi decidere se…scommettere finalmente su qualcuno dei nostri sogni che deve iniziare a muoversi perché possa un giorno anche correre…” (Correre o Morire – Jornet Kilian).

giovedì 21 luglio 2016

Dolomites SkyRace Canazei(Tn) 17 Luglio 2016

Foto Dolomites SkyRce 2016
Classifiche Dolomites SkyRace 2016
Sito Dolomites SkyRace

Edizione 2015

Dal racconto dell'OrcoCamola

La Dolomiti Skyrace è una gara a cui pensavo da anni. Come per tutte le manifestazioni prestigiose, le iscrizioni si esauriscono in pochi minuti.
Questo succedeva a gennaio 2016. Faccio sempre fatica a prende impegni così avanti nel tempo ma la proposta degli amici comprendeva anche qualche giorno di vacanza nella bella Val di Fassa.


Sabato 16 luglio 2016.
Tre Orchi (Camola, Joack e Zoppo) tentano la fuga dal Piemonte… la voglia di scappare è così forte che dopo poche ore di viaggio si ritroviamo ‘imprigionati’ nel traffico vacanziero di un normale week end estivo da bollino rosso. Va beh dai ... siamo già in vacanza.
Arrivati a Canazei (dopo 7 ore di viaggio) ritiriamo subito il pettorale. Dalla location ci rendiamo conto che la Dolomiti Skyrace è una gara internazionale. La starting list rivela 30 nazioni rappresentate con atleti di altissimo livello. I cancelli orari non sono impossibili ma comunque selettivi.

Domenica 17 luglio 2016.
Purtroppo gli orari del nostro albergo non coincidono con quelli della gara, quindi per la colazione ci dobbiamo organizzare autonomamente con panini e dolci che consumiamo in stanza. Qualcosa di caldo lo beviamo in un bar convenzionato con l’albergo nei pressi della partenza. Per fortuna non abbiamo intoppi. La giornata è bellissima ma alle 8.30 il termometro segna 6 gradi. Più in alto la temperatura è di poco sotto lo zero. Paolo, nonostante i suoi problemi all’anca, vuole essere della partita. Sa benissimo che si ritirerà ma preferisce ugualmente fare una pezzo di gara.
Tutto pronto, appena l’elicottero si posiziona sopra di noi, viene dato il ‘via’.
Il punto chiave della gara è la Forcella Pordoi dove il cancello orario taglia fuori almeno un centinaio di atleti. La gara si rivela tecnica, faticosa, bellissima.

Superata la forcella si corre sull’altopiano delle Mesules, una spianata panoramica e lunare sulla quale si erge il Piz Boè che rappresenta il punto massimo della gara a 3150 m.
L’aria fredda gela le mani. I volontari dell’organizzazione e gli escursionisti sono ‘bardati’ con giacca vento e berretti. La prima parte della discesa è pericolosa e a tratti esposta. Come discesista pensavo di cavarmela bene ma “ho visto discesisti che voi umani-podisti non potete nemmeno immaginare”. Veramente bravi. Le difficoltà mollano solo negli ultimi km e l’arrivo è una festa soprattutto per le caviglie.
Il cronometro segna i tempi che più o meno avevamo previsto. Siamo provati ma contenti.
Nel pomeriggio, dopo qualche ora di riposo, ci regaliamo un giro in funivia sulla vicina Marmolada con merenda a base di yogurt e mirtilli.

Lunedi 18 Luglio 2016.
Abbiamo a disposizione ancora una giornata intera e progettiamo un bel giro ad anello sul gruppo del Catinaccio. Da questo punto di vista la Val di Fassa è straordinaria; i gruppi Dolomitici del Catinaccio, Sella, Pordoi, Marmolada, Sasso Lungo e Piatto sono fruibili in giornata.
Il nostro giro parte dal Rifugio Gardeccia che raggiungiamo con il servizio navette che parte da Pozza di Fassa. Dal rifugio saliamo al Colle Coronelle per poi scendere da un ripido canale al rifugio Fronza. Da qui lo sguardo spazia sulle vallate sopra Bolzano; la giornata è così bella che in lontananza si distingue il complesso glaciale del Cevedale. Da qui inizia la parte più impegnativa del percorso che tramite la via ferrata Santner raggiunge il colle omonimo. La via ferrata (così documentata) ci riserva da subito un lungo tratto iniziale senza cavo.
 Le difficoltà di arrampicata sono minime ma la mancanza di protezioni ci rende particolarmente vigili.  Nel complesso si tratta di uno straordinario traverso in salita che taglia la parete da sud a nord sfruttando i tratti più deboli della roccia. E’ incredibile man mano che procediamo il percorso si infila in profonde pieghe della parete nelle quali si scompare totalmente. L’ultima parte è regolarmente attrezzata e la cosa ci permette di mollare la tensione dovuta all’esposizione.  Come descritto dalla relazione il colle Santner è un punto panoramico privilegiato per ammirare le Torri del Vajolet. La soddisfazione è tanta e al rifugio Re Alberto, posto proprio alla base delle mitiche Torri, festeggiamo con canederli e birra.
L’ultimo tratto del nostro giro transita nei pressi del rifugio Preuss e Vajolet per poi riscendere al Gardeccia.

Martedì 19 Luglio 2016.
Qualche acquisto da portare ad amici e parenti e partiamo per viaggio di rientro consapevoli di aver vissuto due giornate straordinarie.

lunedì 18 luglio 2016

Alpinismo Couloir Mettrier – Pelvoux 3943 mt massiccio des Écrins(Francia) 17 Luglio 2016

Video Couloir Metrier

Nei grandi spazi della montagna, nei suoi alti silenzi, l’uomo non distratto può cogliere il senso della sua piccolezza e la dimensione infinita della sua anima.
(Anonimo)

Dal racconto dell'OgreDoctor

Quota 3943 mt: sono in cima al Pelvoux. A vent’anni esatti dal mio ultimo 4000 sono nuovamente in alto ad ammirare il cielo e le montagne ed onoro quel voto che feci a me stesso di ritornare a calcare i ghiacciai perenni solo se fisico e mente si fossero nuovamente ritrovati in uno stato di grazia tale da consentirmi di farlo.
Ieri era l’ultima uscita del corso di Alpinismo della Motti. La giornata un vero regalo del cielo, forse una del-le più belle degli ultimi mesi.
La vita del rifugio mi mancava, tantissimo: l’arrivo dopo l’avvicinamento, la cena con i compagni di cordata, le chiacchere, l’immancabile uscita ad ammirare le stelle, in nessun altro posto così belle e luminose, il sonno disturbato dall’attesa del domani, la sveglia prima dell’alba…
Alle 4.30 circa si comincia alla luce tremolante della frontale. L’alba non si fa attendere e presto siamo sul nevaio che porta all’attacco del Couloir Coolidge, la via normale (si fa per dire).
Ma niente normale per noi, Davide e Carlo, i nostri istruttori, per gli allievi con qualche dimestichezza con il ghiaccio e le doppie picche, hanno scelto il Couloir Mettrier, a sinistra del Coolidge, nei pressi del colle est del Pelvoux.

Ci portiamo alla base del breve conoide e guardiamo “negli occhi” lo stretto couloir. A vederlo da vicino non fa una bella impressione, la neve non è continua e sicuramente si dovrà passare su alcuni tratti in roccia. Lo stretto canale è orientato ad ovest e non prende il sole per gran parte della giornata e forse questo ci dà qualche possibilità di trovare una neve portante.
Davide, che nel frattempo si è avvicinato al conoide per dare un’occhiata più da vicino alle condizioni della neve, ci fa cenno di avvicinarci. È l’ora, si sale. Due cordate di tre persone in conserva.
Sguardo in alto, l’uscita del couloir è contro il cielo, azzurrissimo. Sguardo in basso, la pendenza di 40-50° fa impressione. Ma la progressione è sicura, la neve tiene e le picche fanno il loro lavoro egregiamente.
Sulla roccia cerco di districarmi, meglio che riesco, camminare sul misto con i ramponi non è facile e gli scarponi rigidi non facilitano il compito. Attenzione al massimo per non far cadere pietre, che in un canale così stretto non farebbero molto piacere ai nostri compagni della seconda cordata.
La neve in alto manca e negli ultimi 50 metri pieghiamo a destra e guadagniamo l’uscita del canale. Poche centinaia di metri e raggiungiamo la cima.
Felicità a mille! Divoro con gli occhi il panorama che mi circonda.

La gita non è finita. Bisogna scendere. Sarebbe stato magnifico fare la traversata, ma non si può avere tutto e quindi ci “accontentiamo” della normale, che scendiamo disarrampicando fino alla base del canale dove finalmente possiamo slegarci e procedere più rilassati.
All’interno del canale numerose scariche di pietre, un po’ subite e in parte causate, hanno reso un po’ meno tranquillo e rilassato questo tratto del percorso, complice l’affollamento del canale in quel momento.
Ci ritroviamo tutti al bar del campeggio a Aillefroide per la più classica delle birre, che accompagno, su consiglio di Carlo, con un “sandwich americano”, un siluro con dentro salsiccia e patatine fritte, roba da far rabbrividire qualsiasi nutrizionista, ma che mi riappacifica con il mondo, dopo i gel sintetici consumati durante la salita.
Non sono nemmeno stanco, il mio allenamento da trailer mi ha regalato una resistenza alla fatica impressionante. Non sono i 2500 metri complessivi in salita e altrettanti in discesa, il secondo giorno, a pesare, quanto la fatica mentale di tenere sempre alta l’attenzione, la coscienza bel vigile per non commettere errori con conseguenze catastrofiche.
A casa, mentre disfo lo zaino e ripongo l’attrezzatura nell’armadio, ripenso alla gita, sicuramente una delle più belle e difficili che abbia mai fatto.
Chiudo gli occhi e cerco di dormire, ma la retina ha ancora in memoria il cielo stellato e l’immensità delle montagne…penso…a quando la prossima!

SkyRace Becca di Nona (Ao) 17 Luglio 2016

Classifica SkyRace Becca di N0na 2016
Sito Skyrace Becca di Nona

Edizione 2012
Edizione 2010

dal racconto dell'OrcoDavide

L'idea di partenza era quella di partecipare alla RedBull K3, ma per impegni vari abbiamo dovuto abbandonare questo evento. Allora all'OrcoNauta viene in mente di partecipare alla SkyRace Aosta-Becca di Nona, una gara di 13 Km con dislivello di 2500D+, dove lui aveva già partecipato qualche anno fa, ma causa il brutto tempo la gara era stata accorciata(2012 ndr).
Decidiamo di partire, domenica 17 luglio 2016 di  buon'ora da Rubiana(To). Sveglia alle ore 5.00 a.m, dopo una notte insonne come tutti le notti prima di ogni gara.
Arriviamo ad Aosta con abbondante anticipo, di fronte a noi, all'uscita dell'autostrada ci appare la "BECCA" stagliata nel cielo azzurro senza neanche una nuvola e con una temperatura frizzante.
Il largo anticipo, ci aiuta a ritirare il pettorale con calma e ad informarci presso gli organizzatori per quanto riguarda il rientro, infatti il percorso in salita si conclude alla BECCA, dopodichè si discende fino a Pila dove ci attende, gratuitamente, l'ovovia che ci riporterà ad Aosta.
Lasciamo la nostra sacca indumenti, data dall'organizzazione, con un antivento e carichiamo sul furgone dove il tutto verrà prelevato dall'elicottero che porterà le sacche fino alla BECCA.
Partenza ore 8.30, la piazza gremita da 500 partecipanti.Tutto esaurito. Questo la dice lunga su quanto i Valdostani vivano più di noi la montagna.
Pronti via si inizia con un chilometro in pianura, giusto per riscaldare le gambe, poi si prosegue con una salita che non finirà più ... fino alla vetta. In circa due ore mi ritrovo a Pian Comboè dopo nove chilomtri, dove c'è l'arrivo della corta. Noi essendo Orchi, ovviamente, ci siamo iscritti per la lunga di 13Km fino alla BECCA.
Paesaggi e viste mozzafiato fin da subito visto la bellissima giornata, ristori impeccabili e nei punti giusti. Ma sinceramente da Pian Comboè alla BECCA il panorama si è fatto ancora più spettacolare, pura montagna, salite durissime che hanno messo alla prova le mie gambe.
Un grande sostegno da parte dei  Valdostani lungo i percorsi fino alla BECCA dove vi erano tantissimi volontari e addirittura un ristoro a 3140 m. con cioccolata, anguria, frutta secca.
Arrivo in 3h e 28min, un pò troppo ma di più non riuscivo a fare. Una vista a 360 gradi. Montagne fino al grande e immenso MONTE BIANCO (dove va un pensiero per una futura gara).
Ora arrivati in cima, ci aspetta (era già arrivato OrcoNauta in 2h e 58min) la discesa verso Pila. Visto i tempi, abbiamo ovviamente corso e alla fine è venuto fuori un bel TRAIL di circa 23 Km,

Nonostante i percorsi segnati abbiamo avuto la compagnia di un romano trapiantato da più di 10 anni in Aosta con la nostra stessa grande passione, la montagna.
A Pila, ci aspettavano le nostre mogli intrepide e sempre al nostro fianco dall'inizio alla fine con grande sacrificio, ovviamente c'era Simone mio figlio che adora le corse.
Discesa in Ovovia fino ad Aosta e poi servizio navetta per le docce e ristoro (pasta, patatine con pollo e birazza...) distanti solo un chilometri con annesso ritiro pacco gara:
-Maglietta tecnica Salomon, basica ma funzionale
-Piccoli gadget ma utili ormai una rarità nei pacchi gara
Il tutto solo per 25 euro di iscrizione.
Torniamo a casa molto soddisfatti per il luogo della manifestazione e la sua organizzazione.

domenica 17 luglio 2016

26° Corsa Giro del Lago del Moncenisio (Francia) 17 Luglio 2015

Foto 26° giro del lago del Moncenisio 2016
Video 26° Giro del lago del Moncenisio 2016
Classifica 26° Giro del lago del Moncenisio 2016
Sito Giro del lago del Moncenisio

Edizione 2015

dal racconto dell'OrcoMekkaniko

Piana del Moncenisio, 17/07/2016
Ovvero, “Comandi, Sergente!”

Un luogo bellissimo, una giornata bellissima - un teatro perfetto per l'annuale Tour du Lac - una gara che attendo sempre con trepidazione e che disputo con entusiasmo, clima e salute permettendo. Sarebbe tutto perfetto se quest'ultima non mi difettasse un poco: dopo una malaccorta discesa dall'erta del Monte Chaberton ho infatti iniziato a soffrire di una fastidiosa contrattura alla gamba sinistra, un dolore sordo che si diparte dal gluteo e termina al ginocchio. Ho stolidamente atteso che il tempo facesse il suo corso, ma continuo a zoppicare, sebbene lievemente. Evidentemente il tempo, almeno in quest'occasione ha deciso di non assecondarmi e di ricordarmi che di anni, e di chilometri, ne son già passati parecchi, per queste gambe.
Essendo geneticamente cocciuto per discendenza materna, oggi gareggerò lo stesso, ma lo farò senza concorrere, in quanto la mia unica risoluzione è di arrivare al traguardo, dovessi pur camminare per tutto il tragitto di 16 km.
Al mio arrivo, poco prima della gara, son già in parecchi ad essersi riuniti qui, al Plan de Fontanettes, ove scorgo molte facce conosciute: compagni di squadra, amici di altre società ed altri che ho già incontrato in altre gare.
Nei loro occhi scorgo la gioiosa aspettativa data da una giornata di uno splendore abbacinante, difficile da riscontrare in un punto di correnti d'alta quota e nubi in continua migrazione, che si fanno beffe delle frontiere così tristemente di recente ripristinate.
Un minuto di silenzio prima della partenza ci ricorda che il mondo non è tutto bello come qui: le vittime della recente strage di Nizza sono troppo recenti per esser state dimenticate dal quotidiano carosello mediatico e mentre in silenzio mi perdo in questo cielo così luminoso non posso far a meno di pensare che, al di là delle perdite umane, sia l'Umanità intera ad aver nuovamente subito una sconfitta.
Lo starter fa il suo lavoro e la corsa ha inizio, come tante altre, simili e non: dapprima tutti insieme in una massa compatta, poi via via tutti I partecipanti in un lungo serpentone variopinto in direzione di quella Francia cui, fosse pure solo per un minuto, ci siamo sentiti tanto vicini.
Sin a poco prima della partenza ho continuato ad ostentare serenità, abbracciando e salutando amici ed amiche, posando per le consuete foto per I posteri e scherzando su qualunque cosa me ne offrisse la possibilità...ma ora che sono in ballo, il piccolo tarlo che, da quando ho aperto gli occhi stamane, ha continuato a rodere, esce finalmente allo scoperto: la verità e che non lo so proprio se ce la farò ad arrivare a tagliarlo, quel traguardo che mi son appena lasciato alle spalle. Corro in mezzo agli altri, mi lascio trascinare dalla folla e dal suo entusiasmo, ma la coscia sinistra ha già cominciato a mettere in chiaro che c'è poco da scherzare. Cerco il mio passo abituale ma non riesco ad adattarmici, così procedo come uno Yo-Yo, cercando con lo sguardo qualche faccia conosciuta, come riferimento, mi dico: ma la verità è che non voglio stare solo a nessun costo.
Alla fine del primo chilometro ho già la gola secca: certo il sole a 2000 mt di quota, unito ad una brezza tonificante, spingono naturalmente all'arsura, ma quel che non voglio ammettere è che in realtà ho paura. Dissimulo alla bell'e meglio distribuendo pacche e sorrisi ai compagni di squadra che incontro man mano che procedo, ma non posso fare a meno, appena fermatomi a placare la sete ad un lavatoio di un'acqua che pare cristallo liquido, di sentirmi un ronzino zoppo all'abbeveratoio.
A costo di apparire invadente o stupido, una volta ripreso il passo, cerco di scambiare qualche battuta con chiunque incontri, conosciuto o meno, per cercare di ignorarla, questa paura strisciante, questa sensazione di inadeguatezza che mi divora internamente e mi fa sembrare questa meravigliosa valle che devo attraversare come uno sterminato deserto. Non posso far a meno di pensare, a tratti, che, nonostante lo splendore di questi declivi erbosi sormontati dalla millenaria maestà delle vette rocciose, neanche troppo tempo fa qui si combatteva e moriva in trincea ed ancora, non posso far a meno di desiderare con tutte le mie forze, che questa non diventi la mia personale Caporetto, tanto per restar in tema.
La svolta arriva al valico, tornando in ripida discesa in direzione del lago.
Già, il lago.
L'immensa diga al fondo della valle indica che questo specchio d'acqua è opera dell'Uomo, vero monumento alla volontà, all' ingegno, al duro lavoro, alle conquiste (nel bene e nel male) della nostra specie.
Ma... quella luce.
La nostra antica, generosa stella, che da millenni ci regala quotidianamente I suoi raggi, il suo calore, la sua vita, oggi ha deciso di donarci uno spettacolo che l'uomo può solo sognare, di sicuro non sperare di creare.
Come innumerevoli specchi che ad ogni istante si infrangessero in una caleidoscopica pirotecnia su quella superficie di cielo adagiato tra le vette, come se migliaia di uccelli dalle piume d'oro agitassero all'unisono le ali davanti ai nostri occhi.
Una sinfonia di luce.
In un'istante dimentico ogni mio timore e disagio fisico: è come se non ce l'avessi nemmeno più un corpo, di fronte a tanta incommensurabile bellezza.
In quel solo istante riesco a comprendere le parole di quel grande poeta che fu Giuseppe Ungaretti, scrivendo dinanzi ad una radiosa alba: “M'illumino d'immenso”.
Per riportare una perifrasi più consona al linguaggio delle giovani generazioni: è come scattarsi un selfie assieme a Dio.

Lo spettacolo mozzafiato mi restituisce un po' di energia e fiducia, tanto che, costeggiando le rive punteggiate da una galassia di fiori colorati, mi metto a scherzare con alcuni ragazzi e ragazze di altre squadre: non ci conosciamo, ma ci accomuna la fatica che stiamo affrontando e ci addolcisce l'animo il meraviglioso panorama che ci sovrasta e ci avvolge come aura rivitalizzante.
Il dolore, mai sopito, solo accantonato, torna a trovarmi come un piazzista invadente nel momento in cui termina il tratto asfaltato del percorso e si inizia a ballare, tra buche, pietrisco, rive scoscese e curve polverose. Mi costringe a concentrarmi sul tracciato e sulla mia scarsa stabilità, a dimenticare in fretta le bellezze del luogo, a sentire ogni strattone con fitte che si avventano come vespe rabbiose lungo I gangli spinali: a tratti procedo al passo e nei punti più scoscesi I muscoli offesi mi danno la sensazione che il femore si sganci e riagganci, qual emulo parodistico e rugginoso di Jeeg Robot. Nonostante tutto, la gamba regge e lo fa anche il paragone, dato che forse questo è il momento giusto per appurare se dopotutto, in fondo non sia anch'io, nel mio piccolo, un “cuor d'acciaio”, seppur magari un po' sbullonato.
Arrivo in un punto dove la riva è ripida e scoscesa e ripenso che qui, tanti anni fa, in occasione della mia prima gara in questo luogo, un giovane carabiniere di stanza nei punti caldi del Medio Oriente, allora qui in licenza per la nascita del suo primo figlio, mi afferrò al volo e mi evitò una rovinosa e dolorosa caduta, mentre procedevo ancora con passo incauto ed inesperto su terreno a me poco affine. Come ogni volta che passo di qui, invio col pensiero a lui e alla sua discendenza un caldo augurio di lunga vita: da quella volta ho smesso di raccontare barzellette sui carabinieri, ma non posso far a meno di pensare con amarezza che se mi vedesse ora arrancare come sto facendo, forse si chiederebbe se sia valsa la pena compiere quel gesto generoso.
Giunto al ristoro, a metà percorso, scorgo l'arrivo dall'altra parte del lago, che ora sembra un'oceano e mi fa pensare di esser un po' troppo a corto di caravelle per potermici avventurare: il calore del sole, il terreno sempre più accidentato, la fatica accumulata e I costanti dolori mi stanno rapidamente demoralizzando ed è con passo sempre più incerto e strascicato che riprendo a correre, senza neanche più il conforto dell'altrui compagnia, in quanto I concorrenti sono oramai troppo distanti tra loro, o comunque troppo concentrati sulla gara.
Mi accorgo di star dando sempre più ascolto alla mia così detta parte razionale, mentre medito di continuare a passo di marcia sino al traguardo, quando comincio a sentire quella voce.
All'inizio solo un lontano brusio, pressochè impercettibile, nascosto nel ritmico ansito degli altri concorrenti o nel fruscio del vento sugli steli dell'erba dei prati, poi sempre più insistente e intelleggibile.
Una voce che, a quanto pare, si rivolge a me.
Ma accanto a me, nessuno parla.
Non si può certo definire ispirazione divina lungo la via di Damasco, a giudicare dal fraseggio.
Il tono, imperioso, autoritario e sprezzante, il lessico infarcito di oscenità appartengono senza molti dubbi ad un sergente istruttore di un Centro Addestramento Reclute.
Il terribile Sergente Hartman, dal film “Full Metal Jacket”, il sardonico Sergente Apone dal film “Aliens”, oppure l'inflessibile Foley da “Ufficiale e gentiluomo, o il truce Zim da “Starship troopers”, il granitico Gunny dall'omonimo titolo (interpretato da un Clint Eastwood in forma smagliante) o forse, più semplicemente, il grezzo e ignorante Sergenten, dalle vignette delle Sturmtrupen, nate dal mai abbastanza celebrato genio del compianto Bonvi - tanto per rendere l'idea a chi, come me, è nato nel secolo scorso...

Forse il sole a picco e la stanchezza stanno avendo la meglio sul mio cervello, oppure il mio lato da camicia nera, quello che ho sempre deciso di seppellire in profondità dentro di me, sta cercando di riaffiorare, approfittando dell'abbassarsi delle difese dell'io cosciente: sta di fatto che quella voce continua ad urlare improperi al mio indirizzo, per far sì che la mia corsa non abbia termine qui, dove tanta fatica non sarebbe servita a nulla. Disposto a tutto pur di non concentrarmi sulla gamba che chiede sempre più a gran voce la meritata requie, decido di iniziare un teatrino di botta e risposta mentali con quell'intruso che sembra aver molto più fiato di quanto ne rimanga a me:
-”Fa male, sergente!”
-”Sei ancora lì, recluta?!”
- “Non ce la faccio, sergente!”
-”E ti consideri un uomo??!”
-”Ora getto la spugna, sergente!”
-”Muovi le chiappe, miserabile checca!”
E così via, concentrandomi su tale grottesco dialogo, riesco ad arrivare sino in cima alla rampa che conduce allo sbarramento artificiale del lago: una strada (si fa per dire) che scende ripida e scoscesa, dilavata dalle aspre intemperie che si abbattono spesso su questi luoghi, punteggiata da instabili rocce affioranti e da infido pietrisco: una manna per le già provate gambe dei concorrenti, sani o acciaccati che siano.
Dato che sino ad ora da un po' di minuti sto giocando al soldatino obbediente, tanto vale che vada fino in fondo: all'urlo mentale di “CARICA!”, il sergente mi spinge a gettarmi a scapicollo, ignorando tutti gli allarmi che il mio istinto di conservazione ridotto al lumicino riesce ancora timidamente ad inviarmi. Per entrar meglio nella parte cerco di immaginare che le pericolose asperità sian mine e trappole esplosive, I concorrenti da superare sian avversari che mi si avventan alla baionetta (non cerco di ucciderli: in ogni caso non ne avrei la forza...), la diga là sotto sia la terra di nessuno da superare, sotto le sventagliate di mitragliatrice e la strada che si inerpica al di là di essa sia la collina da conquistare, costi quel che costi. La rovina del vecchio, massiccio forte del Varisello che ci sovrasta non fa che aumentare il realismo dell'illusione, in un'allegorica imitazione delle manovre che, tanto tempo fa, qui si dovevan tenere per davvero ed è così, con l'aiuto di un'illusione, per quanto sgradevole, che arrivo a metà dell'immensa diga, accorgendomene solo quando il mio corpo mi riporta bruscamente alla realtà.
La gamba destra, sinora sempre robusta ed efficiente, dopo tanti kilometri di sforzi, comincia ad esser stufa di compensare le evidenti inefficienze della gemella e mi invia sferzate di dolore sopra al ginocchio, che hanno il sentore di comunicati di una RSU, annunciante agitazione del personale ad un manager arpagone che finora ha dilapidato in giochetti finanziari le risorse di un'azienda sana.
Ci mancava solo più il senso di colpa, alla collezione di avversità che sto incontrando...
Perdo terreno e slancio, su quell'eternità di sterrato ch'è la diga, in mezzo alla polvere e a turisti che passeggiano e ci squadrano con un misto di divertimento e compassione: ma lassù qualcuno si è ricordato di me e tra questi ultimi scorgo una carissima amica che si sta godendo il panorama da quassù e riconoscendomi, mi invia un grido di incoraggiamento che aggiunge cavalli freschi al mio traino, rivitalizzandomi all'istante. La voce del sergente, sinora mai sopita, ma sempre caustica, qui si fa complice e mi apostrofa sorniona :“Con un pubblico così, non ti conviene proprio fare schifo...”. Spingo il passo con rinnovata forza, mandando un abbraccio pieno di calore alla mia inconsapevole salvatrice, ricordandomi, non senza ironia, di quanta energia sia capace di infondere il gentil sesso, anche nell'uomo più esausto... almeno la forza del proverbiale carro di buoi...
La diga e il suo monotono incedere, così com'erano iniziati, giungono al termine, lasciandomi di nuovo solo dinanzi alla parte più difficile della gara: una riva erta e dirupata, buona solo per il passo delle capre, che conduce alla statale asfaltata, parecchi metri più in su e che a sua volta continua a salire in direzione del tanto agognato traguardo. Qui, a prescindere dalle condizioni del corpo, qualcosa nello spirito si spezza e mi ritrovo ad annaspare senza nemmeno più l'aiuto del sergente, la cui voce si è fatta più fievole alla prospettiva di una fatica che mi pare tanto insormontabile.
Dovrei esser distrutto e nel panico, se mi fosse rimasto ancora un briciolo di raziocinio. Fortunatamete, arrivato sin qui, il mio io cosciente ha deciso di arrendersi e lasciar il posto al primate pre-sapiens. Per la prima volta da tempo immemorabile qualcosa in profondità dentro di me si inferocisce, mostrando le zanne a tutte le paure, I sensi di inadeguatezza e le sconfitte che negli anni mi si sono opposte. Con un ringhio mi gioco tutto quel che mi resta: aggredisco la salita col mio passo da montagna, abbassando il baricentro in avanti, artigliandomi le ginocchia con le mani e spingendo con le braccia sugli arti inferiori, ad imitazione biologica della meccanica ottocentesca delle bielle e stantuffi delle prime locomotive. Digrignando I denti aumento la velocità: le giunture stridono, protestando per l'improvviso cambio di ritmo, ma sento che funziona e mi concedo un ghigno di soddisfazione, mentre riesco a superare un altro paio di concorrenti e per la prima volta dalla partenza provo l'ebbrezza di aver il controllo della situazione.
Per distogliere dalla fatica quel briciolo di raziocinio che mi rimane, sebbene non sia una posizione agevole, alzo lo sguardo a fissarsi sul cielo limpido, lasciando correre il pensiero a quell'eroe dei fumetti di quando ero ragazzo: un grande e potente re guerriero la cui più grande ambizione era stringere nel suo possente pugno il cielo e che, nell'istante del trapasso, dopo epica battaglia, con le sue ultime forze si alza in piedi in tutta la sua considerevole statura e solleva il pugno a quel cielo, quell'azzurro luminoso, che a pensarci bene è stata, è e sarà l'unica costante che da sempre accomuna tutti gli esseri che abitano questo pianeta, in ogni tempo e luogo. Chiudo gli occhi e per un istante mi ci lascio trascinare, in quell'azzurro abbagliante e privo di nubi e, come se avessi spiccato un'improbabile, unico grande balzo, mi ritrovo alla fine della rampa sterrata, al confine del supplizio di asfalto che ancora mi attende. Se questo fosse un film di Hollywood, procederei ormai con passo inarrestabile verso il traguardo, accompagnato dalla trionfale colonna sonora di qualche compositore famoso, ma sono nella dura realtà e posando lo sguardo su quel che ancora mi aspetta, mi rendo conto di aver consumato quel che ancora mi restava di forze nella salita che mi son lasciato alle spalle: fisso come in un incubo la striscia di asfalto rovente che mi aspetta e rallentando al passo mi lascio sfuggire un gemito da animale ferito. Qualcuno deve avermi sentito ed avuto pietà, perchè mi sento afferrare con calore ad una spalla: un concorrente che non conosco, più alto e robusto, nonostante la faccia provata dalla fatica, mi sorride e mi regala parole di incoraggiamento. Un istante da fissare nel tempo, da tramandare a tutti quelli che credono nel detto “Mors tua, vita mea”: l'incarnazione del vero sportivo. Oppure siamo veramente saliti di quota, se arriviamo ad incontrare persino gli angeli... Vorrei poter dire che da quel momento mi sian tornate le forze, ma mi ritrovo ad arrancare sull'interminabile salita, senza mai perdere d'occhio il mio benefattore, a volte superandolo, a volte lasciandomi oltrepassare a mia volta, cercando di sorridere per quanto mi è possibile alle famiglie di turisti che ci acclamano e incoraggiano lungo la strada. Le giunture stremate urlano di dolore e per il surriscaldamento, il poco di mente vigile che ancora possiedo, in mancanza dell'energica voce del mio personale sergente, recita continuamente, quale salvifico mantra la parole di Rocky Balboa, allora doppiato dalla calda voce del grande Ferruccio Amendola:
Non fa male Non fa male Non fa male Non fa male...
Arrivo così al traguardo: senza clamore e sotto anestesia da endorfine, accorgendomi all'ultimo minuto di stare per superare il mio salvatore di poco fa e raccogliendo il pochissimo spirito che mi rimane per rallentare impercettibilmente e farmi superare: ne ha tutto il sacrosanto diritto... al mio orgoglio racconterò che il dolore alla gamba si era fatto insopportabile...
Passo al traguardo senza clamore: del tempo che ho impiegato mi importa meno di zero, perchè ho compiuto ciò che mi ero prefissato.

Mi fermo, alla fine, godendomi da qui lo splendido panorama che nel frattempo non è cambiato, seguendo con lo sguardo il percorso e rendendomi conto di non aver compiuto nulla di così speciale: I miei compagni di squadra e molti altri partecipanti hanno sicuramente affrontato imprese molto più ardue e in condizioni di clima e fisico ben peggiori. La mia gara, oggi non era con loro, ma con un solo uomo. Quell'individuo, troppo spesso ignavo e rinunciatario, che mio malgrado son costretto a vedere ogni mattina allo specchio.
Ciononostante continuo a sentirmi come un astronauta che ha dovuto affrontare un brusco rientro dall'orbita, magari sotto una pioggia di meteoriti, a bordo di uno shuttle scassato e con condizioni atmosferiche proibitive: la Terra non è mai stata così bella, ora che vi ho rimesso piede.
Ho persino timore ad abbassare lo sguardo sui miei ormai ululanti arti inferiori: non mi sosprenderei troppo a vederne scaturire dalle giunture un sottile filo di fumo...
Se il mio cervello fosse il cruscotto di un'auto, ora sarebbe illuminato come un'albero di Natale, dal lampeggiare di tutte le spie di malfunzionamento e carenza di sostanze varie: se non altro son riuscito ad appurare che, sebbene sospensioni e differenziale siano a pezzi, il motore è ancora in buono stato, ed è tutto quello che volevo sapere.
Corro (si fa per dire) a ringraziare con calorosa e doverosa stretta di mano il mio benefattore di poco fa, pensando, mentre sorseggio dei rivitalizzanti sali, che, mentre io correvo per me stesso, gli altri concorrenti, conosciuti e non, mi passavano più o meno consapevolmete un po' della loro energia per continuare la mia gara: un'energia che si trasmetteva con la voce, una battuta, un sorriso, un saluto o talvolta la semplice presenza. Ognuno di loro, senza saperlo, mi ha dato una spinta, a volte anche solo di pochi centimetri, ma alla fine sufficiente ad arrivare a compiere tutti I 16 kilometri del tragitto.
Con questo in mente decido che, sebbene la voglia di gettarsi sulla soffice erba di questi prati invitanti sia pressante, mi resta ancora una cosa da fare, un ultimo compito da svolgere, prima del meritato riposo.
Mi avvio claudicando ormai vistosamente, emulo contemporaneo, appena un po' più basso e punk, di Long John Silver, alla volta dell'arrivo che ho superato poco fa, per utilizzare come si deve le mie ultime forze ad incitare quelli che ancora stanno arrivando, perchè oggi ho imparato da tante brave persone, che non possiamo mai sapere chi e in che modo ci aiuterà ad arrivare, a quel maledetto traguardo.
Quando alzo lo sguardo alla volta dell'arrivo, vedo qualcuno che non dovrebbe esserci e che, lo so, sta aspettando me. Non già la Nera Signora della canzone “Samarcanda” (doverosi scongiuri), ma la massiccia figura appoggiata al vistoso arco gonfiabile del traguardo, per un istante appena percettibile come in una foto sfocata , sono sicuro che sia il mio Sergente, con tanto di uniforme e con quella che distinguo nettamente come una strana smorfia obliqua stampata sul suo faccione mascelluto.
Quello che interpreto come il miglior tentativo di sorriso affettuoso che I suoi lineamenti da duro inveterato sian riusciti a produrre.
Se a suo tempo non fossi stato riformato dal servizio di leva militare e quindi qualcono mi avesse insegnato a farlo, forse ora gli farei il saluto, ma vorrei peraltro evitare di passar per matto più di quanto non sembri (o sia) già, per cui mi accontento di restituirgli un sorriso tirato dalla stanchezza e a mormorare al suo indirizzo “Grazie, sergente...”
Quando passo lì davanti, lui è già scomparso, forse solo frutto del troppo sole o della fatica, ma, come a riservarsi il diritto dell'ultima parola o a voler dar un taglio a quelle inutili smancerie, lo sento un'ultima volta, in tono beffardo:
“Era ora, mezza sega.”

Dal racconto dell'OrcoDaniela

La sveglia ha suonato presto, io e l'OrcoMilena vogliamo evitare il traffico e fare tutto con calma.
Arrivate su andiamo a ritirare i nostri pettorali, tutto è ben organizzato e veloce.
Facciamo una buona colazione ed andiamo a cercare i compagni di squadra,una volta trovati passiamo alle foto di rito. Il tempo è passato velocemente: è già ora di andare a posizionarsi alla partenza. Prima dello sparo d'inizio gara,rispettiamo tutti un minuto di silenzio per le vittime dell'attentato di Nizza,sessanta secondi molto toccanti.
Si parte!
Il primo tratto è asfaltato ed in discesa, il paesaggio è bellissimo, l'unico aspetto negativo sono gli automobilisti impazienti che non lasciano passare i runners.
Ecco la salita, su sterrato, Luglio si fa sentire: la pelle inizia a bruciare.
Vedo il ristoro, penso “bene sono già al decimo chilometro,solo più sei ed è fatta”, ci sono noccioline, uvetta, zollette di zucchero ed ovviamente acqua, bevo e mi guardo intorno, sull'altra sponda del lago mi attente l'arrivo.
Passo sulla diga (che mi sembra infinita) alla fine della quale mi attende una ripida, ma per fortuna, breve salita  per arrivare poi sulla strada. Sono gli ultimi tre chilometri,ma sembrano molti di più!
Arrivo al traguardo: è finita sono soddisfatta anche questa volta ce l'ho fatta!
Uso le ultime forze per dirigermi al ristoro finale,molto ricco anche questo, bevo e cerco subito gli Orchi.
Il premio : la compagnia della squadra e un buon panino salame e toma!!!


venerdì 15 luglio 2016

Bici Bdc Susa-Bardonecchia - Colle della Scala - Briancon - Colle Monginevro - Cesana - Colle Sestriere (to) 15 Luglio 2016

Dal racconto dell'OrcoPinoR

I numeri del trip
- Partenza da Susa 500 slm
- Colle della Scala 1800slm dopo 45km e 1300D+
- Discesa a Nevache e a seguire Briancon 1300slm
- Colle del Monginevro 1800slm al 72km 1800D+
- Discesa a Cesana Torinese 1300slm
- Colle del Sestriere 2000slm al 92km e 2500D+
- Discesa a Cesana Torinese 1300slm
- Rientro a Susa da Oulx
Per un totale di 140km e 2800D+
Un'ottima cicloturistica a due passi da casa. Tre colli classici delle Montagne Valsusine.
- Colle della Scala  in territorio francese, conquistato da Bardonecchia

- Colle del Monginevro, conquistato da Briancon

- Colle del Sestriere da Cesana Torinese.

Gita difficile per via della giornata ventosa. Lungo e faticoso il tragitto che da Susa porta al colle della Scala, il vento ha fatto la differenza.
Il percorso è stato più semplice nella seconda parte, grazie all'assenza del vento.