domenica 26 giugno 2016

Skyrace Trofeo Chaberton Cesana Torinese(To) 26 Giugno 2016

Foto Trofeo Chaberton 2016 OnTheRace
Foto Trofeo Chaberton 2016 Tutti Gli Atleti Punta Chaberton
Foto Trofeo Chaberton 2016 Tifosi e Atleti Orchi Punta Chaberton
Classifica Trofeo Chaberton 2016
Sito Trofeo Chaberton

Edizione 2015 Trofeo Chaberton
Edizione 2010 Chaberton Marathon
Edizione 2009 Chaberton Marathon
Edizione 2008 Chaberton Marathon

Dal racconto dell'OrcoVale

Trofeo Chaberton: “La gara più bella”
E’ un susseguirsi di emozioni e meraviglia questo percorso che nessun trailer dovrebbe perdersi; è la natura nel pieno della forza, ed  i suoi colori erano oggi più vivi che mai.
Alla partenza in quel di Cesana siamo poco meno di trecento anime scalpitanti, molti già consapevoli di quello che li aspetta, altri,come me, ignari del tutto. Presente anche a questa edizione un vero habituè (Gianni Mallen ndr) che, dopo aver partecipato alla prima edizione, ha deciso di non fermarsi più…come dargli torto, giù il cappello!
L’inizio della corsa verso Fenils costeggia il torrente e mentre comincio la mia avventura percepisco solo il suo fluire insieme al rumore sordo delle suole sugli aghi di pino; siamo tutti vicini,
ordinati in fila indiana , ma silenziosi. Questo è il silenzio della concentrazione, di chi mentre corre sta valutando le proprie scelte, e cerca il miglior modo per mettere il proprio corpo nelle condizioni ideali.
Arriva una salita accettabile che in breve tempo lascia spazio alla vera pendenza che durerà fino in vetta.
C’è un momento preciso della gara in cui smetti di guardare per terra e rimani abbagliato dalla maestosità di una montagna così impopolare rispetto ad altre vette, ma talmente imponente che la consapevolezza che la percorrerai con le tue sole forze la rende speciale a priori.

Il cancello delle tre ore al colle che devo superare a tutti i costi stimola la mia andatura e,  salendo , riesco rare volte a voltarmi per godere del panorama mozzafiato. Arrivo in due ore e 40 al colle dove
mi attende un ristoro ricco e genuino; scrutando quei piccoli uomini colorati in fila che percorrono gli ultimi cinquecento metri di dislivello, spero solo di non metterci un tempo infinito. A metà
salita giro lo sguardo e il panorama è pura emozione, talmente bello che non si riesce nemmeno a descrivere. La curva Orchi non in gara (Gabriella, Stefano, Marcello, David, Enrico ), con un tifo da stadio e una carica di energia positiva, mi aiutano a raggiungere gli agognati tremilaecento, grazie Orchi siete stati inarrivabili!!
La discesa è ininterrotta e,felice come una bambina,proseguo senza fiato e con il sorriso stampato.
Degno di nota il maggiociondolo fiorito che aggiunge il suo bel giallo ad una tavolozza piena di colori.

L’ultima spettacolare sorpresa sono le magnifiche gorges di Claviere che riempiono completamente occhi ed orecchie.
Un plauso agli organizzatori ed ai volontari, che sempre disponibili e sorridenti hanno compiuto la vera impresa (grazie per l’anguria al colle e a fine gara, una vera coccola!). W gli orchi, presenti e
valorosi anche oggi.

Dal racconto dell'OrkoMekkaniko

Monte Chaberton, 26/06/2016
Ovvero, la (vera) fine di una guerra

Non si intraprende alla leggera una salita alla cima di un monte tanto erto, fortificato e tristemente noto sui libri di Storia (almeno per quelli che, i libri, hanno ancora voglia e/o tempo per aprirli): figurarsi se quella cima la si vuole raggiungere correndo in competizione con tanti altri agguerriti concorrenti, nella annuale gara podistica divenuta ormai di importanza internazionale. Chi scrive è ben conscio di non esser minimamente all'altezza di cotanto eroico sforzo, così, in questa data, si è limitato a partecipare ad una piacevolissima escursione organizzata da alcuni compagni di squadra, al fine di portare un po' di sostegno morale agli amici che, invece, quelle energie per affrontare l'impresa, le hanno spese sino all'ultimo.
Con qualsivoglia passo, è strano affrontare quella salita: a partire dal dolce digradare di quegli ameni
boschi francesi, un po' meno bistrattati di quelli nei nostri confini, troppo spesso sacrificati ad un'idea di progresso che resta tale sempre per pochi e ben poche volte porta il benessere che si affretta a promettere.

Il pendio erboso e fiorito, man mano che si sale, lascia sempre più intravedere la nuda roccia sottostante e le cicatrici inferte dagli interventi dell'Uomo: nella fattispecie gli inequivocabili segni lasciati dalle fortificazioni e dai drammatici eventi bellici.
Arrivare sulla cima ad oltre 3000 mt , piatta e brulla, impone, oltre all'ovvio sforzo polmonare e muscolare in genere, anche un gesto di umiltà nei confronti di quelle otto imponenti torri diroccate, all'ombra delle quali hanno prematuramente perso la vita quegli uomini
che, in occasione del II° Conflitto Mondiale, sono stati chiamati, loro malgrado, a difendere i “Sacri Confini”.
Uomini di ferro, che non avevano pressochè nessun tipo di tecnologia, se non quella di inizio secolo, ad affrontare tali compiti, non ultimo, quello di restare vivi, ad una quota e temperatura tutt'altro che conciliante alla vita umana o animale che fosse.
Quel vecchio soldato di pietra, addormentato da più di 70 anni, dopo la sua dismissione dal compito di sentinella d'Italia (è in territorio francese proprio dalla fine della Guerra), si è ormai abituato al silenzio delle vette, innevate o no, agli sporadici richiami degli uccelli d'alta quota, al passo dei tanti gitanti che lo percorrono durante la bella stagione, agli occasionali e rumorosi motori degli elicotteri di passaggio per il Soccorso Alpino.

Certo, non si sarebbe aspettato la serie di suoni che, in una calda e cristallina domenica di giugno, hanno pervaso le sue pendici per un paio d'ore, sino al punto di fargli credere, a quel vetusto baluardo, che la guerra fosse di nuovo cominciata.
Complici il cielo terso e le circostanti antiche cime rocciose, cui non è parso vero di poter restituire l'eco di un qualcosa di così diverso dal millenario silenzio o dal mortifero frastuono delle bombe del passato, le soavi note di una fanfara del Corpo degli Alpini hanno inizialmente allietato l'arrivo dei gitanti: ma quando si sono iniziati ad intravedere i primi eroici concorrenti della gara in arrivo la musica è cambiata radicalmente... l'aria si è riempita delle urla selvagge di quello che sembrava un gruppo dei peggiori hooligans in preda a fumi dell'alcool e frenesia da tifo sportivo.
Obbedendo tacitamente al saggio assunto di un membro del gruppo di noi così detti sostenitori morali (“Siam arrivati fin qui... ora vi pare il caso di star zitti?”), si è scatenata una tifoseria da Curva di ultras sfegatati, che per tutta la durata degli arrivi in cima, ha travolto qualunque essere, senziente e non, che avesse l'ardire di presentarsi al cospetto del vecchio soldato.
Occhi di atleti esausti per la salita estenuante si sono spalancati di sorpresa al frastuono festoso, in primis per il frastuono in se stesso e poi perchè tanta festa era per loro, proprio per ognuno di loro.
Alcuni di quegli sguardi rivelavano di chiedersi che stesse succedendo, se qualcuno lassù all'improvviso non fosse impazzito, altri, magari tra i più anziani (e ancor più eroici), parevano schermirsi o diffidare di tutto quel baccano, forse più avvezzi a considerare la
montagna come luogo di inviolabile silenzio, altri semplicemente , troppo stanchi o concentrati nell'impegno sportivo sembravan non far troppo caso a quell'anomalia sonora, ma molti altri e soprattutto gli amici a cui tutto ciò era dedicato, non hanno mancato di apprezzare
il bislacco gesto di affetto, attraverso parole, cenni o anche solo sguardi in grado di compensare tutta la raucedine che quel vociare avrebbe causato ai suoi produttori.

Il vecchio soldato, per una volta protagonista in tempo di pace, non ha mostrato di scomporsi a tutta quella esuberanza: dopotutto il suo corpo di pietra e cemento ha subito ben altri urti e percosse ma, dapprima un po' imbarazzato per la mancanza di sobria marzialità tipica dei suoi precedenti occupanti, ha mostrato di sapersi adattare alla nuova situazione, tanto da parer vibrare
in soddisfatta risonanza a quelle urla di gioia selvaggia, quasi a compiacersi che, finalmente, qualcuno si fosse scomodato a portare sin lassù i festeggiamenti di quella guerra, la sua guerra, che ora, anche per lui, è davvero finita.
Per parte mia, mi son limitato a fargli un cenno di rispettoso saluto, a festeggiamenti terminati, appena prima di cominciar a scendere di buona lena, sperando che il fiato non mi tradisse, dopo tutto quello sforzo inadatto al mio fisico non proprio olimpionico.
Il vecchio soldato, nato in un secolo di guerre sanguinose, di serietà professionale  e di rapporti di sussiegosa cortesia, non ha mancato di rispondermi, attraverso lo sguardo sorridente di un giovanotto appartenente ad un gruppo di figuranti storici, giunti fin lì per commemorare i loro bisnonni, di cui sfoggiavano con orgoglio le uniformi d'epoca.
La stessa epoca in cui lì, a combattere quella guerra sanguinosa, stavano ragazzi a volte poco più che
adolescenti, che parlavano solo il piemontese o alla peggio i dialetti delle loro vallate natie (vera eresia in un mondo di finti e/o pentiti globalizzati, come quello attuale) e portavano a termine i loro compiti in quel mondo così duro e diverso dal nostro, sino a morirci, lì, su quella cima silenziosa, sotto il peso di tonnellate di bombe, magari piangendo in silenzio o chiamando le loro mamme nell'agonia, pensando ai loro cari che non avrebbero più rivisto, o magari rialzandosi
a fare il loro lavoro sino all'ultimo, con un senso del dovere ormai pressochè estinto e che chi ha mandato a morire migliaia di uomini come loro non ha mai veramente meritato. Forse, mi piace pensare, quei ragazzi che sin da quei giorni lontani da lassù non son più scesi, oggi erano anche loro lì, con noi, a faticare, gridare, ridere e ad assaporare la vita.
In questa calda domenica d'estate del nuovo millennio (che di guerre è ancora pieno e sta pericolosamente mostrando di aver dimenticato gli ammonimenti di quegli eventi sanguinosi), attraverso lo sguardo di quel giovane alpino e di tutti I pervenuti (atleti e non), grati per essersi sentiti protagonisti di un istante di festa, quel rudere di fortezza dimenticato in tempo di pace, forse ha voluto semplicemente ammettere che, dopotutto, valeva davvero la pena far tutti quei sacrifici, per scoprire quanto di buono avrebbe portato il futuro.

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