martedì 8 maggio 2012

Trofeo di Varzo corsa in montagna giovanile 6 Maggio 2012


Il racconto dalla più giovane tra GliOrchi

Ore 10.00. Varzo, in provincia di Verbania. La mia terza gara. E sto morendo dalla paura.


Ora, a raccontarlo, certo perderà un po’ di quell’emozione che domenica scorsa mi faceva saltellare di qua e di là forsennatamente chiedendo continuamente alle mie compagne come sarei dovuta partire, cosa sarebbe successo, come sarebbe andata.


Il viaggio era stato tutto sommato tranquillo, più di due ore di macchina quasi tutte dormite allegramente per cercare di scacciare l’ansia a fianco di due miei amici, anche loro corridori. Arrivati siamo andati subito a posare la roba e a vedere il percorso che, almeno per me, era di 2580 m. Una passeggiata da fare a piedi con un’amica in estate, un secondo in macchina, in autostrada, quando stai aspettando il prossimo autogril, una vita e tutto un timore da fare di corsa. Iniziamo a camminare e affrontiamo la prima salita, la mia amica dice: “Lunghetta eh?” e tutto quello che mi esce è un brontolio. Alla seconda salita già non mi limito solo più a versi di disapprovazione e mi butto su mille dubbi e domande: e se non ce la faccio? E se arrivo ultima? Sì ma per arrivare ultima già devo averla finita la gara! Io devo finirla, e poi non voglio arrivare ultima! E via discorrendo. Finito di vedere il percorso incontriamo gli altri del ‘Giò 22 Rivera e iniziamo a farci qualche giro intorno alla partenza. La musica è a palla e c’è qualcuno che parla al microfono, no, non mi interessa, mi agita solo di più. Ci sono banchi col cibo per gli atleti che finiscono la gara, ma solo a pensare a mangiare mi viene da vomitare. Mi giro verso le mie amiche,tutte più piccole di me, cadette, e con una faccia terrorizzata riparto a raffica a parlare. E poi la gara comincia.

Prima gli Esordienti, i piccoli insomma, che sono tanti. Poi i Ragazzi, due delle nostre compagne partono e ciao, in bocca al lupo. Finita la gara sono distrutte e hanno fatto un giro in meno di quello che dovrò fare io. Ok, sto andando in iperventilazione. Tocca alle Cadette e io, ora, anche se un po’ l’ho già fatto, mi devo scaldare davvero. Le guardo partire, Ele in testa come sempre e poi corro a fare gli esercizi dell’ultimo minuto. Passano i Cadetti e poi…bè, e poi ecco che arriva il momento. Ele ha finito ed ha vinto, delle ragazze della nostra squadra ci sono solo più io a dover correre, con le allieve, perché papà ha pensato bene di concepirmi nel “lontano” 1995. Conosco due simpatiche ragazze che mi chiedono se sono nuova : “Sì” gli rispondo “è il mio primo anno, e voi?”. Bè, loro corrono da sette anni. Ma basta chiacchierare, non ce n’è neanche più il tempo. D’accordo. Ce la posso fare. O magari no.


Boom. La pistola a salve spara un colpo. E si parte. Inizio a correre e sono tra le prime, ma non mi illudo, la gara è appena cominciata. Alla prima salita infatti, quella lunga, quella brutta e devastante, mi supera un po’ di gente, ma poco male, io voglio solo finire la gara. Ok io voglio anche non arrivare ultima ma quello non è di vitale importanza, avendo appena cominciato me lo posso ancora perdonare.

In salita cammino. Non ce la faccio a correre, ma riprendo appena si torna in piano. Corro e non penso a niente, corro e penso a tutto. Già stanca dopo un’altra salita arrivo in cima e ci sono le mie compagne che hanno già gareggiato a urlare per me. “Dai che ce la fai!”, “Corri Giada”, “Brava Giada, vai così”, “Non sei stanca! No, non sei stanca! Non mollare!” e, sarà stupido, ma, sì, mi fanno sorridere. E allora continuo, continuo e in discesa non è più facile che in salita: si scivola da morire perché ha diluviato tutta la notte e ora sta anche cominciando a scendere una pioggerellina leggera. Finito il primo giro al solo pensiero di doverne fare un altro mi dico che non finirò la gara, ma poi vado e rifaccio quella salita e rifaccio anche quella dopo e rivedo le mie amiche e il mio allenatore che non aspettano che di aiutarmi. Sì la finisco, dai che la finisco. Mancano 400m e mi dico che sono ultima, ma che va bene così, che non importa. E allora scatto fino al traguardo e passarlo è una soddisfazione, sì anche se decima su dieci. No, aspetta. Non sono ultima! C’è una ragazza dietro di me! Un’altra! Eravamo poche e io, bè, io ho raggiunto il mio obbiettivo. E ho finito la gara. Perfetto allora, mi dico soddisfatta, per oggi ho tutto il diritto di sentirmi come wonder woman.


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